venerdì 7 aprile 2017
Le attuali regole permettono di basare nei Paesi dal fisco più leggero, come Lussemburgo e Irlanda, molte delle attività più redditizie
Banche, nei «paradisi» fiscali il 26% degli utili
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Le venti principali banche europee nel 2015 hanno ottenuto un quarto dei loro profitti, cioè circa 25 miliardi di euro, in Paesi particolarmente morbidi sul fronte delle tasse. Due ricercatori dell’Oxfam — confederazione internazionale di organizzazioni caritative che si occupano di contrastare la povertà a livello globale — sono andati a studiare la distribuzione internazionale dei ricavi e degli utili delle banche. Sono dati che gli istituti di credito dell’Unione europea, a differenza delle multinazionali di altri settori, sono obbligati a comunicare in base a una direttiva del 2013 sulla trasparenza dei bilanci. L’analisi dei due ricercatori, Manon Aubry e Thomas Dauphin, e del centro studi olandese Somo si basa sulle cifre dei bilanci 2015.

Quella che emerge è un’evidente sproporzione nel rapporto tra utili e ricavi che le banche riescono a raccogliere nei “paradisi fiscali” rispetto ai risultati che ottengono nel resto del mondo: nei trentuno paesi indicati come “paradisi fiscali” secondo i criteri di Oxfam le banche fanno il 26% dei loro utili, pur avendo in quesi Paesi solo il 12% del loro giro d’affari, il 7% del personale e il 14% del carico fiscale complessivo. La lista dei paradisi fiscali dell’Oxfam è piuttosto varia e più lunga di quelle più comunemente utilizzate (come quella dell’Ocse, dell’Unctad o del Fondo monetario internaziona-le): ad esempio la confederazione considera paradisi fiscali Paesi come il Belgio, l’Irlanda o il Lussemburgo, che sono esclusi dalle altre liste nere ma sono sottoposti a indagini a livello europeo. Al di là delle note metodologiche emerge che le venti principali banche europee nel 2015 hanno fatto 10,5 miliardi di euro di profitti a Hong Kong, 4,9 miliardi in Lussemburgo, 3,2 miliardi in Belgio, 2,3 in Irlanda e 986 milioni a Singapore.

Nella lista sono comprese le big italiane Uni-Credit e Intesa Sanpaolo, quest’ultima per le sue attività in Lussemburgo (che è il principale centro di gestione patrimoniale della zona euro e il secondo al mondo per fondi di investimento) e Irlanda, scelta da molti come base per i finanziamenti nell’area della moneta unica. È tutto in regola, ovviamente, e le banche lo sottolineano, ma se gli istituti fossero costretti a tenere in patria queste attività basate in Paesi dove la fiscalità è più leggera i governi delle loro nazioni di origine potrebbero incassare di più dalle tasse, usando queste risorse per contrastare la povertà, sottolinea l’Oxfam.

Per cambiare la situazione occorrerebbe agire sulle regole, contrastando «la corsa al ribasso sulla fiscalità d’impresa» dice l’organizzazione internazionale, chiudendo l’indagine con alcune proposte operative, a partire dalla promozione di «una nuova generazione di riforme fiscali internazionali nel quadro della presidenza tedesca del G20 nel 2017». Vale per le banche ma anche di più per altre società multinazionali, molto più scaltre nel trasferire in località “amichevoli” i profitti ottenuti in giro per il Vecchio Continente. Per questo la prima raccomandazione dell’Oxfam è quella di applicare a tutte le grandi aziende gli stessi criteri di trasparenza che l’Unione Europea, al momento, applica solo al mondo del credito.

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