mercoledì 6 aprile 2016
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I l recente annuncio del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio (32 milioni di investimenti nei prossimi tre anni con il piano nazionale infrastrutture elettriche per la realizzazione di 20 mila stazioni di ricarica), è il primo segnale del governo in tema di mobilità sostenibile, dopo mesi di totale silenzio. Quanto sia reale, e quanto invece solo elettorale, si vedrà. Resta il fatto che una vera politica strutturale relativa al mondo dell’automobile in Italia manca da sempre. Il risultato è che nonostante gli impegnativi investimenti dei costruttori per adeguare i veicoli alle sempre più severe norme ambientali, e le onerose campagne promozionali per alimentare il mercato, l’Italia resta ancora il Paese europeo con il parco circolante tra i più obsoleti (11 anni l’età media dei veicoli che circolano sulle nostre strade) e meno sicuri. Ma se nessun governo – di certo l’attuale, ma anche il precedente che sbandierò l’abolizione del bollo di circolazione senza mantenere poi la promessa – muove un dito per razionalizzare e svecchiare la mobilità, una ragione esiste. L’automobile resta infatti un tesoro straordinario per le casse dello stato, che non potrebbe fare a meno di quanto incamera tra tassa di acquisto e di possesso, accise sui carburanti e balzelli vari. Secondo gli ultimi dati Acea, il gettito fiscale in arrivo dai veicoli è stato pari a 70,5 miliardi nel 2013. Di questi, 37,4 miliardi sono di accise su carburanti e lubrificanti; 14,2 di Iva su vendita, riparazioni e simili; 5,9 di tassa annuale sul possesso, il bollo cioè, uno dei “prelievi” più invisi agli italiani e al centro di un costante dibattito sulla possibilità di ridurlo o addirittura (pura illusione) di abolirlo del tutto. Più giusto ed equo sarebbe trasformarlo in una tassa d’uso, modulabile cioè in base ai chilometri effettivamente percorsi da ogni veicolo, e al tipo di alimentazione utilizzata, con un forte sconto per chi sceglie i carburanti ecologici. Ragionamento questo troppo evoluto per il nostro Paese, che neppure prova a confrontarsi con l’estero per trovare soluzioni meno vessatorie. Non si può fare un confronto preciso con la media degli altri stati, perché incidono il numero dei veicoli in circolazione e dunque il numero di abitanti di ciascun Paese. Ma in generale la fiscalità sulle auto in Francia ha scelto di incidere di più sul prezzo dei pedaggi autostradali (11 miliardi di introiti) e pochissimo sul bollo (solo 1 miliardo). In Germania invece, su un gettito totale di 80 miliardi nel 2012, ben 26,3 sono di Iva sull’acquisto delle auto. Ma il panorama è frammentato tra Paesi che tassano la potenza, il prezzo, il peso o la cilindrata, le emissioni, o un mix tra questi elementi. Diversità assolute, che allontanano dall’idea di un mercato unico dell’energia e dei trasporti. Un altro chiaro esempio di fallimento della “dis-unione” europea. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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