martedì 27 gennaio 2009
Marchionne (Fiat) si unisce all'allarme lanciato dai sindacati: senza aiuti dal governo migliaia di lavoratori rischiano realmente di restare a casa. Domani a Palazzo Chigi il vertice sul settore.
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La crisi dell’auto potrebbe co­stare 60mila posti di lavoro in I­talia. L’allarme è partito dai sin­dacati del settore, ed è stato rilan­ciato dall’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che ha confermato la cifra choc. «Se non ci sarà un intervento del governo – ha detto ieri il manager prima di en­trare a una riunione dell’Unione in­dustriali di Torino – il rischio che 60mila lavoratori del comparto au­to restino a casa è reale». Nel giorno in cui tra Europa e Stati U­niti vengono annunciati oltre 70mi­la licenziamenti per le conseguenze della recessione mondiale, l’Italia si trova a fare i conti con un’eventua­lità che rende bene l’idea di quanto conti il comparto auto nel comples­so dell’industria manifatturiera na­zionale. E che chiama in causa di­rettamente – e ora anche in via uffi­ciale, se si tiene conto che una ri­chiesta di aiuto esplicita non era mai stata espressa dalla casa del Lingot­to – il governo. L’attesa, a questo punto, è tutta per domani, quando a Palazzo Chigi si terrà l’incontro tra l’esecutivo, i sin­dacati metalmeccanici e tutte le principali associazioni industriali del settore, vertice fissato proprio per avviare una discussione sugli incen- tivi da concedere alle industrie lega­te all’auto. Un universo nient’affat­to marginale, ben più vasto della Fiat, che da sola occupa in Italia circa 50mila persone (oltre 80mila calco­lando anche camion e trattori). Se­condo alcune stime, l’indotto del Lingotto vale almeno il 12% del prodotto interno lordo i­taliano e si calcola che l’in­sieme delle aziende attive nel settore automotive dia lavoro a 400mila addetti. «Dal governo – ha continua­to Marchionne, che ieri ha in­contrato il vice presidente della Commissione europea e commissario per le Impre­se e l’Industria, Gunter Verheugen – ci aspettiamo un intervento per tutto il settore dell’Auto, che sta vendendo il 60% in meno dell’anno scorso. Non si tratta di aiu­tare la Fiat, ma di fare ripar­tire un intero comparto pro­duttivo e tutta l’economia». È anche il sindacato a fare pressione. Il calcolo dei 60mila posti a rischio è sta­to fatto dal segretario nazionale del­la Fim-Cisl, Bruno Vitali, nel conte­sto di un’assemblea a Mirafiori. «Ci aspettiamo che il governo metta in campo ecoincentivi all’acquisto e in­tervenga affinché le produzioni ita­liane non vengano dismesse e tra­sferite all’estero», ha detto Vitali, an­nunciando per domani un presidio dei lavoratori davanti a Palazzo Chi­gi. Le ipotesi sul campo sono molte. Si è parlato di incentivi al credito al consumo, per finanziare l’acquisto di veicoli a tassi agevolati, ma anche di aiuti mirati alla produzione e ven­dita di auto meno inquinanti. Di cer­to è che i tecnici del governo sono al lavoro per valutare tutte le possibili iniziative e un eventuale provvedi­mento dell’Esecutivo dovrebbe ri­guardare incentivi alle vendite a fa­vore di tutto il comparto. Tra le ipo­tesi anche quella di interventi tra i 260 e i 290 milioni di euro. Ma la strada degli incentivi all’auto resta tutta in salita. Tutti i principali Paesi europei hanno già pre­visto provvedimenti per so­stenere la propria industria automobilistica. La Lega tut­tavia frena. «Incentivi alla Fiat? Per quel che ci riguarda – ha detto il ministro leghista per la Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli – mi sem­bra che si è già dato. Quella di mercoledì comunque è una riunione durante la quale il governo ascolterà le richieste e i problemi legati al settore dell’auto. Raccoglieremo le proposte e dopo ne parlere­mo ». Intanto, continua lo stillici­dio della cassa integrazione: le presse dello stabilimento di Mirafiori chiuderanno tre settimane, dal 23 febbraio al 15 marzo, resteranno a casa tutti i 600 lavoratori (519 operai e 83 impiegati). E altre aziende dell’in­dotto pensano di chiudere, come la multinazionale Valeo, che nel tori­nese ha due fabbriche con 600 di­pendenti e potrebbe chiuderne una. Sergio Marchionne
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