venerdì 29 giugno 2018
La Wto ha respinto i ricorsi contro la legge anti-fumo più restrittiva del mondo: sui pacchetti, pieni di foto scioccanti sui rischi per la salute, non possono apparire nemmeno i marchi dei produttori
Un tabaccaio australiano sistema i pacchetti pressoché indistinguibili dei vari marchi negli scaffali (Ansa-Afp)

Un tabaccaio australiano sistema i pacchetti pressoché indistinguibili dei vari marchi negli scaffali (Ansa-Afp)

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Il diritto di un governo di proteggere la salute dei cittadini va oltre le regole del libero scambio. Con una decisione che segna un precedente importante nel rapporto tra le norme che regolano gli scambi internazionali e le leggi nazionali, la corte della Wto, l’organizzazione mondiale del commercio, ha dato ragione all’Australia contro i ricorsi intentati da Honduras, Repubblica Domenicana, Cuba e Indonesia.

Questi paesi, con il sostegno implicito delle grandi compagnie del tabacco, contestavano la legittimità della norma sui pacchetti di sigarette anonimi introdotta dall’Australia nel 2010. La legge costringe le aziende del tabacco a ricoprire il 75% della superficie delle confezioni dei loro prodotti (quota che sale al 90% per i pacchetti di sigarette) con avvertimenti sugli effetti del fumo, usando immagini scioccanti come quelle utilizzate anche in Italia e in altri Paesi europei.

La norma australiana è tra le più severe del mondo: la parte dei pacchetti dove non appaiono allarmi sulla salute può essere solo marrone scuro, le aziende non possono usare il loro logo ma hanno solo la possibilità di scrivere il loro nome in piccolo, in carattere Lucida Sans dimensione 10 o 14. La strategia antifumo dell’Australia comprende anche un aumento delle accise del 12,5% all’anno dal 2013 al 2020. Già oggi in Australia un pacchetto di sigarette costa quasi 40 dollari australiani (circa 25 euro), il prezzo più alto al mondo. Funziona: secondo l’ufficio statistico di Canberra, la quota di fumatori in Australia è diminuita dal 23,8% del 1995 al 14,5% del 2015.

I governi che hanno contestato la norma australiana – tutti paesi grandi produttori di tabacco – la accusano di essere una barriera illegale al commercio, in quanto violerebbe il diritto di utilizzare i marchi registrati. Cuba, ad esempio, si è mossa per difendere il marchio di indicazione tipica Habanos, il monopolista di Stato della produzione di sigari cubani. Le compagnie del tabacco, che non sono state parte attiva del caso portato alla Wto, aggiungono che in questo modo si incoraggia la vendita di prodotti più scadenti e anche il contrabbando, dato che i pacchetti uniformati sarebbero più facili da ricopiare.

Il gigante americano Philip Morris aveva già perso nel 2015 il ricorso contro la legge australiana lanciato dalla sua base asiatica, che aveva sfruttato la possibilità di utilizzare un arbitrato internazionale per risolvere le dispute tra Stati e aziende previsto dall’accordo di libero scambio firmato nel 1993 tra Hong Kong e l’Australia.

Nelle 888 pagine di spiegazione della decisione di respingere tutti i ricorsi, le cui conclusioni erano state lasciate filtrare già un anno fa, l’Organizzazione del commercio ha spiegato di non ritenere che le norme australiane rappresentino una violazione delle regole internazionali. Questa sentenza – contro la quale molto probabilmente arriveranno i ricorsi degli sconfitti – spiana la strada ai tanti paesi che in questi anni hanno imitato l’iniziativa australiana, introducendo misure restrittive che prevedono pacchetti anonimi o il divieto dell’uso dei marchi dei produttori di sigarette.

Anche per l’Organizzazione mondiale del commercio è un bel punto a favore. Contestata senza riserve da Donald Trump e guardata con sospetto in tutto l’Occidente, dove i sentimenti no global e sovranisti sembrano sempre più diffusi, la Wto ha dimostrato di potere essere ancora utile nel tutelare la sovranità dei governi rispetto a quelli di nazioni straniere o di aziende private. Almeno quando si tratta di leggi che riguardano la salute delle persone.

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