martedì 19 giugno 2018
La maggioranza di governo annuncia lo stop all’aumento dell’Iva e la richiesta all’Europa di una maggiore flessibilità sul deficit. Ok dal ministro dell’Economia Tria, ma stop al debito pubblico
Il ministro dell'Economia Tria (Ansa)

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La maggioranza di governo annuncia lo stop all’aumento dell’Iva e la richiesta all’Europa di una maggiore flessibilità sul deficit. Un percorso condiviso dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, a patto però che non sia in contrasto con il calo del debito pubblico.

Il dibattito alla Camera sulla risoluzione al Def (passata con 330 voti a favore e 224 contrari) ha chiuso oggi di fatto la stagione delle promesse elettorali "tutto e subito" spingendo i recalcitranti partiti e il governo a entrare in una logica di maggiore compatibilità tra programmi e risorse disponibili. È stato in particolare il responsabile del Mef, come già anticipato in un’intervista, a sottolineare la necessità di tenere i piedi per terra, rilevando come il peso degli sviluppi internazionali renda le prospettive di crescita economica «meno favorevoli» rispetto al 2017. Pertanto «nell’interesse del Paese è intenzione del governo agire in modo da prevenire ogni aggravio per la finanza pubblica».

Il governo aggiornerà le stime di crescita e gli obiettivi finanziari a settembre: l’andamento del rapporto deficit-Pil sarà «oggetto di seria riflessione in sede di predisposizione del quadro programmatico» in stretta collaborazione con l’Ue, ma il calo del debito resta «imprescindibile e necessario», ha osservato Tria. L’impegno alla riduzione è importante perché «i mercati finanziari reagiscono alla dinamica percepita del debito piuttosto che al suo livello» ed è inoltre una «condizione di forza» per ottenere in Europa un regime più favorevole alle spese per investimenti.

Il ministro non si è sbilanciato sulle future mosse del nuovo governo avvertendo che «gli interventi relativi alle riforme strutturali sulle quali il governo è impegnato andranno adeguatamente coperti».

Di certo si dovrà accelerare appunto sugli investimenti pubblici, da conteggiare fuori dal deficit così da liberare maggiori risorse. Un obiettivo da rilanciare in sede Ue e da perseguire in casa con una task force che punti a rimuovere anche gli ostacoli burocratici, compresi quelli «involontari» creati dal Codice degli appalti.

Ma per il capo del Mef è «centrale» anche «l’attuazione del programma di riforme», a partire dal reddito di cittadinanza, prioritario «per garantire la stabilità sociale».

Nella risoluzione parlamentare M5s e Lega chiedono al governo di assumere «tutte le iniziative per disinnescare la clausole di salvaguardia, operazione che per il 2019 vale 12,5 miliardi.

Più in generale, si aggiunge, occorre un nuovo «paradigma economico» che permetta l’attuazione delle riforme del contratto di governo: flat tax, pensioni, reddito di cittadinanza.

A questo scopo l’esecutivo dovrà «riconsiderare il quadro di finanza pubblica riguardo ai saldi di bilancio 2019-2021» ma «nel rispetto degli impegni europei».

L’obiettivo è il rinvio di un anno del pareggio di bilancio, previsto attualmente nel 2020. La partita delle riforme si giocherà quindi soprattutto in sede Ue. Il primo appuntamento è già in settimana con vertici Ecofin ed Eurogruppo. «La nostra azione in Europa – ha avvertito Tria – deve essere volta verso una profonda riforma delle istituzioni economiche», viste «le gravi inadeguatezze» dell’attuale governance che, mentre disincentiva gli investimenti imponendo stretti vincoli di bilancio, «consente squilibri nelle partite correnti». Un riferimento all’eccessivo surplus tedesco.

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