sabato 30 novembre 2013
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All’ingresso principale della Stazione Tiburtina, a Roma, ti accoglie una lastra di bronzo alta venti metri. Sopra c’è scolpito un discorso di Cavour del 1861. Si conclude così: «In Roma concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali che devono dete minare (è caduta una lettera, ndr) le condizioni della capitale di un grande stato». Chissà oggi al conte piemontese che effetto farebbe rileggere la sua frase, una volta fatto un giro nella stazione a lui dedicata, inaugurata due anni fa in pompa magna in occasione dei 150 anni dell’unità nazionale e oggi ridotta a uno stato di desolazione, incuria, incompiutezza. E chissà se sorriderebbe lo statista che unificò il Paese a sapere dei 25 mesi occorsi, se tutto va bene, per aprire i primi locali commerciali (il via è atteso per metà dicembre) e dei tempi biblici che ancora ci vorranno per ultimare le opere di contorno. GUARDA LA FOTOGALLERYTiburtina doveva diventare il nuovo hub dell’alta velocità, il crocevia delle ferrovie regionali e insieme un grande ponte commerciale per unire due quartieri di Roma divisi dai binari. Ma per ora l’enorme e modernissima stazione sopraelevata disegnata dall’architetto Paolo Desideri ha tradito le attese. Alle 12 di un giorno feriale la troviamo quasi deserta, spettrale nella sua imponenza. In 300 metri c’è aperto solo un piccolo baretto solitario, sembra un chiosco di periferia, che accoglie i pochi passeggeri spaesati che si avventurano fin quassù dai marciapiedi dei binari solo se devono passare dagli uffici di «Trenitalia» o da quelli di «Italo treno», le uniche altre attività in funzione e tuttavia semi-deserte. Sotto i treni passano, anche se non sono tutti quelli che le Ferrovie aveva promesso. Sopra ci si sente in un avamposto nel nulla: saracinesche chiuse, transenne per lavori non in corso, macchine e detriti abbandonati dietro strisce bianche e rosse, porte a vetri sporche con lo scotch sopra. Non è solo una "cattedrale nel deserto", questa bella stazione, nuova ma già in qualche tratto usurata: a Tiburtina il deserto è entrato dentro la cattedrale. Dal momento che è vuota, la gran parte dei passeggeri evita di salire sopra e raggiunge i binari attraverso gli angusti sottopassi.Qualche segno di vita nascente per fortuna c’è. Si nota sopra le saracinesche chiuse dove sono apparsi i primi nomi dei marchi commerciali che gestiranno gli spazi, anche se gli interni sono vuoti e solo in un paio di casi si vedono operai al lavoro. «Grandi Stazioni», la controllata dalla Ferrovie (il premier Letta ne ha annunciato la privatizzazione) che gestisce l’infrastruttura, dà per imminente la presentazione del piano di sviluppo commerciale. 65 rapporti di locazione dei locali sono stati già firmati, ha assicurato la società al ministero dei Trasporti, che di recente ha di nuovo chiesto spiegazioni sullo stato dell’arte. Le prime aperture dovrebbero essere prima di Natale. Ma i tempi appaiono ormai strettissimi.L’infrastruttura è costata quasi 350 milioni di euro. Tuttavia le Fs sottolineano che l’opera è in project financing e dunque la spesa non ricade sui cittadini (una parte delle risorse arriva dalla Bnl, che sta costruendo qui la sua nuova sede). Quando fu inaugurata, il 28 novembre 2011, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la stazione non era completa, ma il più sembrava fatto e si assicurava che il completamento era vicino. Nel presentare l’opera le Ferrovie preannunciavano «nuove strade, piazze, servizi pubblici, parchi» nella zona e promettevano che «entro la fine del 2013 saranno a pieno regime tutti servizi e le attività commerciali di stazione» e in particolare 10mila metri quadri di aree commerciali con 1.110 posti auto. L’apertura del primo parcheggio è stata lo scorso settembre: 127 posti. A dicembre ne  arriveranno altri 210. Un altro parcheggio interrato da 420 posti è pronto, ma ci vorranno mesi perché il Comune lo renda operativo. Quanto al resto, l’accesso ai primi tre binari è bloccato dall’incendio dell’estate 2011. Diverse scale mobili sono ferme e transennate. Il secondo ingresso, sul lato del quartiere Pietralata, in buona parte inaccessibile. Eppure fu proprio questo il primo ad essere pre-inaugurato dall’allora premier Silvio Berlusconi nel dicembre del 2010, ben tre anni fa. Oggi oltre le vetrate si vedono solo ruspe e fango.Dalla parte opposta, la piazza pedonale ipogea è da completare. L’atrio principale (quello con il discorso di Cavour) è ancora oscurato e deturpato dalla vecchia tangenziale sopraelevata, che quasi sfiora la stazione. Il Comune di Roma ne aveva promesso la demolizione una volta ultimata la variante sotterranea. La variante c’è da tempo, ma i lavori per l’abbattimento non sono nemmeno iniziati. E intanto la notte sotto l’ex tangenziale si rifugia un mondo di senzatetto e sbandati, i turisti scappano via e i residenti della zona protestano. Il concorso per disegnare la nuova piazza antistante non è alle viste.Le ragioni di un ritardo così vistoso sono le solite: burocrazia, rimpalli di responsabilità tra i diversi attori, dalle Ferrovie dello Stato al Comune di Roma. Certo stupisce la sproporzione tra la comprensibile enfasi dei giorni dell’inaugurazione e i risultati di oggi. Come stupisce che ci siano voluti 14 mesi soltanto perché Rfi, la società del gruppo Fs proprietaria dello scalo, lo consegnasse in gestione a Grandi Stazioni, altra società controllata da Fs. Poi altri sei mesi perché il Comune desse l’ok al progetto di sviluppo commerciale, lo scorso luglio.Nel 2012, un primo allarme sui ritardi era stato lanciato con una lettera aperta al premier Mario Monti, dalla Ntv di Montezemolo e Della Valle, la società concorrente di Trenitalia nell’alta velocità con il treno Italo che ha a Tiburtina e non a Roma Termini (come invece Trenitalia) la sua base operativa ed stata la più penalizzata dal mancato decollo dell’infrastruttura. C’è voluto il richiamo del ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, che di passaggio a Tiburtina l’estate scorsa definì «una vergogna» lo stato della stazione e chiese spiegazioni, perché si muovesse qualcosa. Molto lentamente. Che ne direbbe Cavour?
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