domenica 1 maggio 2016
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MILANO Il matrimonio tra Banco Popolare e Bpm ieri ha vissuto ore di ampio dibattito. Proprio nel giorno in cui Matteo Renzi affermava che l’obiettivo delle recenti norme sul sistema bancario italiano è «sostanzialmente mettere le nostre banche nelle stesse condizioni di quelle degli altri Paesi». Il premier, nel corso della sua visita a Catania, si è soffermato sulla materia bacchettando il mondo degli istituti di credito con osservazioni tutt’altro che sibilline come «qualche banchiere in meno e qualche credito in più». E un esempio forte: «Lasciatemelo dire – ha scandito – in America, chi nella Silicon Valley fallisce non è poi considerato un appestato: qui bisogna avere il coraggio di fare delle regole per cui uno ci può provare ». Infine l’invito forte: «facciano queste benedette fusioni». Insomma, un appello a 'muoversi' che sembra non giungere a caso visto che il percorso verso la prima grande fusione che attende ora il nostro Paese, quella appunto tra Banco Popolare e Bpm, sembra costellato di piccoli ostacoli quotidiani. Infatti ieri durante l’assemblea di Bpm il presidente uscente del consiglio di sorveglianza, Piero Dino Giarda, ha svolto un intervento critico sull’annunciato progetto di aggregazione tra i due istituti lamentando rischi di perdite e asserendo che «non è la cop- pia dell’anno». L’assemblea ha eletto presidente Nicola Rossi, ex senatore PD, l’economista che per conto della Bcc di Cambiano e della Cassa Padana ha ideato la contestata regola del way out inserita nella riforma delle Bcc. Alla fine il terzo gruppo bancario italiano nascerà. La fusione aveva avuto il via libera dei Cda a fine marzo e aveva subito incassato un giudizio positivo dall’agenzia di rating Moody’s che aveva scritto di «Operazione che, nel lungo termine, condurrà a risparmi sui costi e una maggiore diversificazione» e sarà «positiva» in termini di merito di credito dando vita al terzo gruppo bancario del paese. E che, secondo gli analisti porterà ad una ampia riduzione dei costi, solo per le sinergie di costo, infatti, si stimano risparmi che vanno dal 9% al 13% della nuova entità che valgono da 290 milioni fino a 420 milioni nell’ipotesi migliore. Anche il posizionamento della rete complessiva è ritenuto appetibile, con il 77% degli sportelli nel Nord del Paese, il 35% concentrato nella più importante regione dello Stivale, la Lombardia, e una quota di mercato del 16% che per gli analisti è sicuramente interessante. Analisti che da subito hanno annotato che il vantaggio vero dell’operazione è che non vanno a sposarsi due banche con eccessive criticità che sovrapposte si moltiplicherebbero. Una fusione alla pari come ha ripetutamente sottolineato l’Ad Giuseppe Castagna quando da più parti veniva ipotizzato un nuovo risiko bancario all’italiana. D’altra parte a Castagna va riconosciuto un bel capolavoro gestionale che ha fatto sì che dalla perdita di 614 milioni del 2011 è tornata in utile per 30 milioni nel 2013 per poi crescere senza sosta nei due anni successivi. A tal punto che ieri anticipava alla stampa «La banca continua ad andare molto bene. Vedremo i risultati, ma, considerando la situazione complessa, immagino che potremo presentare una trimestrale soddisfacente» e «il piano industriale relativo all’aggregazione a maggio». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’assemblea
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