domenica 2 novembre 2008
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La nuova Alitalia riprende a tribolare. Le lancette dell'orologio che scorrono puntano a domani alle 15. A quell'ora, all'aeroporto di Fiumicino dove già ieri, in una tranquilla giornata festiva, non è mancato qualche momento di tensione, si terrà l'assemblea indetta dalle 5 sigle (Anpac, Up, Sdl, Avia e Anpav, comprendenti oltre l'85% dei piloti e degli assistenti di volo) che venerdì non hanno firmato il cosiddetto "lodo Letta" sul nuovo contratto e sui criteri di selezione dei lavoratori Cai. Un'assemblea che si preannuncia infuocata. A questo punto Colaninno e Sabelli, i vertici della Compagnia aerea italiana che rileverà la compagnia, forti del sì dei soli sindacati confederali, sembrano intenzionati a portare alle estreme conseguenze la sfida lanciata ai "ribelli". Quindi a spedire le proposte di assunzione a ciascuno dei 12.639 lavoratori che costituiranno il futuro organico della società, che individualmente dovranno rispondere se accettano o no. «Voglio vedere come si regoleranno in quel momento», afferma il "firmatario" Claudio Claudiani, segretario generale della Fit-Cisl, convinto che questo sia «un dissenso destinato ineluttabilmente a rientrare». Tanto più che ieri sembra essersi già realizzata una delle pre-condizioni poste per non far venir meno l'offerta vincolante che scade il 30 novembre: fonti della Commissione europea hanno fatto trapelare l'intenzione (la risposta finale ci sarà il 12 novembre) di considerare i 300 milioni del "prestito-ponte" deciso il 23 aprile scorso dal governo Prodi come un obbligo in carico alla bad company che dovrà essere liquidata dal commissario Augusto Fantozzi, liberando così Cai da ogni impegno sulla restituzione della somma. Fra le due società vi sarebbe la necessaria discontinuità. Il mistero del prezzo d'acquisto Lo stesso Fantozzi avvierà sempre domani l'esame dell'offerta Cai: spetterà a lui dire se è congrua o no. Dell'offerta intanto, 24 ore dopo la sua presentazione, nulla si sa sull'aspetto economico chiave: il prezzo d'acquisto. La società non lo ha reso noto, senza confermare se si aggira su quei 3-400 milioni di euro dei quali si era parlato per la proposta iniziale. Un dettaglio che apre più di qualche interrogativo, visto che da giorni circola nell'ambiente la stima di un valore di 900-1.000 milioni attribuito all'intera Alitalia dai consulenti del venditore, Rotschild (per Fantozzi) e Banca Leonardo (per il governo). Sono dubbi alimentati dal ministro-ombra dell'Economia del Pd: per Pierluigi Bersani l'offerta di Cai «è troppo debole, sia come capacità d'investimento sia come professionalità» e «la soluzione ci sarà solo quando incrocerà un grande operatore internazionale». Viceversa Umberto Bossi non ha dubbi: «La Cai secondo me non molla la partita». La questione del partner estero Air France viene data per favorita, ma bisogna fare i conti con la Lega Nord che punta su Lufthansa e, al riguardo, Bossi ha ricordato che «è Berlusconi che deve scendere in campo e penso che lo farà». L'ostacolo più immediato resta comunque il no della maggioranza dei piloti e di hostess e steward. Ieri sono abbondati gli appelli. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è rivolto a loro chiedendo che «si assumano al pari degli altri una responsabilità». Un richiamo analogo è giunto dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, con in più la garanzia che «nessuno intende discriminare queste associazioni che possono trovare lo spazio adeguato nel nuovo sistema di realizzazione industriale». I motivi dei ribelli Per le 5 sigle, però, il problema non starebbe negli spazi negati. Per tutta la giornata hanno tenuto le bocche cucite. Si sono affidate a un comunicato congiunto per denunciare le «falsità» costruite contro di loro e per spiegare di aver rifiutato non per motivi relativi ai 300 distacchi o ai permessi sindacali (anzi, scrivono, sono proprio Cgil, Cisl, Uil e Ugl a godere «di un trattamento speciale per i diritti sindacali»), ma per il «numero enorme di esuberi previsti» (per quanto non diversi dall'intesa-quadro di un mese prima). E soprattutto per le modalità di stesura dei contratti, che sarebbero diverse da quelle in precedenza concordate. In primo luogo sarebbe stato disatteso l'impegno, preso a fine settembre, che per tutto ciò che non era stabilito dall'accordo-quadro occorreva fare riferimento al contratto di Air One. Le sigle autonome, nell'accusare gli altri sindacati di una «resa incondizionata», lamentano poi «una eccessiva discrezionalità» nei criteri di assunzione, che non tengono conto «neanche delle consuete previsioni di legge». Non manca un'accusa diretta: «Oltre a pretendere di operare come azienda privata con i soldi dello Stato " spiegano " Cai non vuole assumere neanche chi è gravato da condizioni sociali particolari o di evidente disagio (legge 104, astensione facoltativa per maternità, esonero da lavoro notturno)». Per il cislino Claudiani, invece, i criteri «sono assolutamente oggettivi e non discrezionali», anche se «commisurati ovviamente alle specifiche esigenze aziendali»: a esempio, avendo i piloti Alitalia esperienza soprattutto alla cloche di aerei Md-80, «dovrebbero essere favoriti i piloti formatori» con esperienza sui nuovi aerei che verranno in dote da Air One. Ma il problema vero è per Claudiani «che stanno venendo al pettine i nodi di cosa le sigle autonome hanno promesso in questi mesi alla gente»; promesse che «ora non riescono a rientrare nell'accordo». Matteoli: «Nessuno mette veti» Ottimista a questo punto è il ministro delle Infrastrutture. Altero Matteoli mostra di non credere a clamorose proteste e a scioperi che dovessero bloccare a terra nelle prossime settimane gli aerei: «Cai volerà lo stesso, nessuno può mettere veti». Ruvido e incentrato sul prestito-ponte è invece il commento di Antonio Di Pietro: per il leader dell'Idv la decisione di Bruxelles configura infatti l'«ennesima fregatura per gli italiani, giacché si sa che la bad company non ha un euro neanche per piangere. Gli unici a pagare " ha concluso " saranno i contribuenti». E non entusiasta della soluzione è l'Udc: per Pier Ferdinando Casini «stavolta Letta anziché una crostata (come fu chiamato il patto stretto sulle riforme, ndr) ha fatto un pasticcio».
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