lunedì 18 marzo 2019
La low cost britannica si è ritirata, gli americani restano, ma investono poco. Per Battisti, l'Ad di Fs chiamato a preparare il piano industriale, diventa molto complicato trovare una soluzione
Un Airbus di easyJet (foto Ansa)

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L'americana Delta è ora l’unica azienda privata in trattativa per Alitalia. L’altra compagnia coinvolta, la low cost britannica easyJet, dopo giorni di indiscrezioni su un suo possibile ritiro ha confermato le voci annunciando formalmente la decisione di abbandonare il progetto, senza dare molte spiegazioni.

Per Gianfranco Battisti, l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato che si sta occupando di costruire l’Alitalia del futuro, la situazione si fa complicata. Lo scorso fine settimana è andato ad Atlanta accompagnato da Stefano Paleari, uno dei tre commissari di Alitalia, per accelerare la trattativa con Delta. Hanno incontrato il ceo Ed Bastian. Sono tornati con in mano la conferma della disponibilità a partecipare.

Anche qui sono indiscrezioni, ma sembra che gli americani siano disposti a investire tra i 100 e 150 milioni di dollari che, per un piano da 900 milioni di euro, corrisponde a una quota attorno al 10-15% della futura Alitalia. «Delta conferma che continua ad esplorare modalità di lavoro con Ferrovie dello Stato e a mantenere la nostra partnership con Alitalia in futuro. Le discussioni rimangono in corso, essendo Alitalia un partner di lungo termine di Delta» hanno ribadito gli americani con una nota in cui non fanno cenno agli impegni finanziari dell’operazione.

In questa situazione è difficile procedere con la preparazione del piano industriale, che inizialmente doveva essere pronto per il 31 gennaio, scadenza poi rinviata al 31 marzo. Il problema principale è che mancano i soci. Fs dovrebbe mettere circa 300 milioni di euro per avere il 30%. Dagli alleati industriali dovevano arrivare circa 400 milioni per una quota del 40%. Il resto sarebbe arrivato da altre entità pubbliche, come le Poste, la Cassa depositi e prestiti oppure Fincantieri (che è quotata in Borsa ma ha il Tesoro come primo azionista con il 70%).

Se però Delta non mette più del 10% si arriva a un ritorno dello Stato al 90% di Alitalia, una sorta rinazionalizzazione a dieci anni dalla prima privatizzazione della compagnia di bandiera. Che era stata ceduta ai privati – conviene ricordalo – perché lo Stato non era più disposto a ripianarne periodicamente le perdite.

C’è però la difficoltà di trovare aziende, anche pubbliche, disposte a mettere qualche centinaio di euro in un’azienda che non chiude un bilancio in utile dal 1997. Il tempo per lavorare al rilancio è limitato. Entro fine giugno Alitalia deve restituire allo Stato i 900 milioni di euro incassati con i prestiti ponte – 600 incassati il 2 maggio del 2017, altri 300 arrivati a ottobre dello stesso anno – ma in cassa non ha ovviamente i soldi per procedere con il rimborso.

Nel frattempo c’è da decidere che cosa fare con la cassa integrazione, che oggi coinvolge circa 1500 dipendenti e scade sabato. L’azienda ha proposto di rinnovare la cassa per 1.010 dipendenti – 850 dei servizi di terra, 90 piloti, 70 assistenti di volo – i sindacati vorrebbero ridurla. Le associazioni dei lavoratori vorrebbero anche incontrare Luigi Di Maio come ministro dello Sviluppo economico per essere aggiornati sul nuovo piano industriale. Nonostante le rassicurazioni dei colleghi del governo (Matteo Salvini ha detto che il ministro «sta lavorando bene», Danilo Toninelli ha assicurato che sta «gestendo molto bene il dossier» e a fine mese arriveranno «notizie risolutive») oggi il futuro della ex compagnia di bandiera è molto incerto.

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