venerdì 5 maggio 2017
Lei è una giovane ostetrica padovana. Ha brevettato un’innovativa vasca per il travaglio e il parto in grado di garantire alla donna massima sicurezza e libertà di movimento
Alessia Selmin con la sua vasca

Alessia Selmin con la sua vasca

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Tutto è nato da un sogno, in una notte d’agosto. Metti una vasca, una donna e il desiderio di diventare madri cullate dall’acqua. È così che Alessia Selmin, a soli 22 anni, ha immaginato per la prima volta il prototipo del suo progetto: un’innovativa vasca per il travaglio e il parto in acqua in grado di garantire alla donna massima sicurezza e libertà di movimento e di far crollare le paure prive di fondamento scientifico che frenano tale pratica in Italia e in alcuni Paesi del mondo. Lei è una giovane ostetrica padovana che oggi, dopo sei anni, può essere orgogliosa di se stessa. Perché da quel giorno Alessia, che già lavorava al Policlinico di Abano Terme, non ha mai smesso di studiare, aggiornarsi, fare ricerche e depositare brevetti per realizzare la sua vasca, “Alexia” (dal greco “Alexein” che significa proteggere).

Alexia è un dispositivo medico di tipo I, dotato di maggiore profondità rispetto alle vasche oggi in uso negli ospedali italiani, che consente alle donne di poter essere veramente immerse nell’acqua per percepire il beneficio della spinta idrostatica. La libertà di movimento, irrinunciabile per favorire la discesa fetale, viene così garantita e in condizioni di maggiore sicurezza, grazie alla dotazione di una pedana mobile, sollevabile elettricamente, che in caso di emergenze permette di estrarre la paziente dall’acqua in pochi secondi e di trasferirla sul lettino da parto integrato per eventuali manovre d’urgenza. Un lettino che, in caso di fisiologia, può essere usato anche solo dopo il parto per far rilassare la donna e darle la possibilità di attaccare precocemente al seno il bambino. L’obiettivo della giovane veneta, infatti, era creare uno strumento che permettesse la gestione ottimale delle emergenze senza spreco di tempo, rischio di caduta per la donna e sforzi muscolo-scheletrici per il personale. Per questo la sua idea prevede la possibilità di fare diverse manovre nella vasca, dalla valutazione delle perdite ematiche all’esecuzione di episiotomia, se necessaria, fino alla donazione cordonale e al secondamento della placenta. Il neonato, quindi, può rimanere tra le braccia della madre per il primo contatto fisico.

«La vera novità è permettere alle donne di entrarci in quella vasca e far sviluppare alle ostetriche le giuste competenze affinché si rendano conto che quella pedana non verrà mai sollevata - dichiara Alessia -. Le donne non hanno bisogno di nulla, sono forti e troppo spesso sono le stesse ostetriche a non assecondarle. Il parto in acqua non ha bisogno della mia vasca, ma Alexia è come un cavallo di Troia che vuole rassicurare e dare certezze a tutte le migliaia di madri che in Italia scelgono di partorire in ospedale».

Nel nostro Paese manca la cultura del travaglio-parto in acqua perché, come spiega Alessia, «domina la paura di potenziali problemi sia per il feto sia per la madre». Nel Nord Europa, e in particolare in Inghilterra, è diverso: nel Regno Unito, per esempio, esistono dei veri e propri centri di nascita Midwife-led-Unit gestiti direttamente da ostetriche qualificate, che lavorano in autonomia. Circa il 70% delle donne travagliano e partoriscono in acqua, mentre in Italia solo il 15-20% degli ospedali dichiarano di possedere vasche che poi rimangono inutilizzate. Così Alessia, nel 2015, ha deciso di approfondire la letteratura scientifica sul tema attraverso una ricerca che ha coinvolto circa 450 ostetriche italiane: «La maggior parte di loro ha dichiarato di non percepire la sicurezza delle vasche in caso di emergenza, confermando che la paura e la scarsa esperienza sono fattori che alimentano la cultura del rischio fin troppo radicata nella nostra società. Sono queste le ragioni per cui si guarda a una novità come Alexia con molto scetticismo».

Eppure c’è chi ha creduto in Alessia. Innanzitutto Aldinio Colbachini, un importante industriale del Nord-Est che nel 2014 le ha messo a disposizione un team di professionisti ─ ingegneri, architetti e periti ─ con cui l’ostetrica ha lavorato un anno intero per realizzare lo studio di fattibilità, gli stampi, il primo prototipo in legno e infine la vasca così come la conosciamo oggi, per un investimento di oltre 200mila euro.

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