sabato 1 giugno 2019
Il rettore del Politecnico di Milano, che ha lanciato il corso di "Etica per la tecnologia": la sfida dell’innovazione si vince anche coniugando studi umanistico-sociali e tecnologia
Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, all'inaugurazione del 155esimo Anno Accademico (foto Ansa)

Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, all'inaugurazione del 155esimo Anno Accademico (foto Ansa)

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Il primo ateneo tecnico del nostro Paese, uno dei migliori in Europa e tra i primi 20 a livello mondiale. Soprattutto, è una comunità che unisce i destini di oltre 40.000 giovani, e chi la guida sente forte, inevitabilmente, la responsabilità di non tradire ambizioni e sogni di un’intera generazione. Oltre che un onore e pure un onere non da poco quello che grava sulle spalle di Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, cui si deve, tra le novità in cantiere, l’introduzione del primo corso in Italia – e tra i primi a livello internazionale – dedicato all’etica.

Intelligenza artificiale, robotica, realtà aumentata, big data: non rischia di essere fuori tempo l’etica? O, al contrario, è troppo tardi porsi ora la questione etica?

Competere con realtà molto più blasonate della nostra impone l’apertura a sempre nuovi fronti di ricerca e occasioni di scambio, che creino opportunità di crescita ai nostri ragazzi e facciano di questo grande laboratorio un polo in continua evoluzione.

A cui pare andare stretto il campo della tecnologia a briglie sciolte...

È esattamente così. Mossi dalla sola tensione all’innovazione, si finisce disorientati. Il corso di studi in "Ethics for Technology", che si occupa del rapporto tra gli studi umanistico-sociali e gli sviluppi scientifico- tecnologici, intende rinnovare e ricordare l’antichissimo legame, come si dimostra da Prometeo ad oggi, tra etica, intesa come senso del giusto, e tecnologia. Ora, però, la novità consiste nella ridistribuzione dei pesi, nel riformulare il rapporto tra i 2 componenti, spostando l’etica da elemento accessorio e decentrato, nella formazione delle future leve di ingegneri e progettisti, a fattore discriminante. È evidente che intelligenza artificiale, robotica e big data governeranno, quasi in toto, le dina-È miche economiche e sociali: proprio per questo saremmo miopi, se pensassimo ad una occupazione da parte della tecnica svincolata da un contrappeso ragionato e consapevole.

Come il "laboratorio" del Politecnico prepara i suoi talenti al senso del limite?

Come ricercatori ed educatori dobbiamo precedere la realtà, guardandola sotto una lente di ingrandimento e, per questo, il Politecnico è un punto di osservazione privilegiato. Newton diceva 'Ho visto oltre, perché stavo sulle spalle di giganti': ecco, noi abbiamo il vantaggio di stare sulle spalle di una città avanposto, all’avanguardia sul fronte di servizi, imprese, ricerca, cultura, con un occhio rivolto ai grandi cambiamenti globali, e con l’altro alle aspirazioni locali, a cominciare dall’esigenza di attrarre e interpretare lo spirito più internazionale dei giovani, intenzionati, però, a mantenere radici nel territorio. Tutto ciò implica una offerta formativa adeguata alle sfide delle nuove professioni.

Sul mercato del lavoro si attende un impatto dirompente.

Sicuramente lo sarà. Nessuna carriera potrà restare immune alla legge della tecnologia. Nessun critico dell’arte o giurista, medico o traduttore, privo di solide competenze nell’utilizzo di tecniche diagnostiche, nella gestione di sistemi di profilazione dati o di analisi preventive, si affaccerà al mondo del lavoro. Che ne sarà di radiologi e interpreti? È un interrogativo più che lecito, ma, allo stesso tempo, le professioni basate su rapporto umano ed empatia come l’insegnante o l’infermiere emergeranno rafforzate dal confronto con la macchina, laddove l’algoritmo non potrà sostituire comprensione e sensibilità, cifra della nostra specie. Nei prossimi vent’anni assisteremo, poi, alla nascita di opportunità lavorative nemmeno immaginabili: per intercettarle, è fondamentale individuare lungo quali asset investire risorse ed energie, in termini di formazione del capitale umano.

In questa rivoluzione quale ruolo gioca l’Università?

Da un lato, deve saper immettere rapidamente nel mercato del lavoro nuove figure professionali altamente specializzate; dall’altro provare ad anticipare soluzioni a lungo termine, per prevenire emergenze e imprevisti. Ad ogni Ateneo spetta 'trovare' la strada lungo la quale definirsi e qualificarsi. Una precisa missione cui votarsi evita di sperimentare troppo e mediocremente.

Saranno le generazioni di mezzo a pagare il prezzo maggiore? L’Università può aiutarle?

Il contrasto va attuato sul piano della formazione continua. Per evitare che la rapidissima evoluzione del digitale si traduca in un tritacarne sociale, aggiornare competenze e abilità consentirà di 'salvare' il capitale umano, recuperandolo da una corsa per la sopravvivenza. Una formazione aperta e interdisciplinare, crocevia di discipline eterogenee.

Da padre consiglierebbe ai suoi figli di lasciare l’Italia per cercare, come tanti cervelli in fuga fanno, soddisfazione professionale altrove?

Da padre consiglio ai miei figli di lasciarsi guidare da curiosità e passioni, perché queste indicheranno la strada, qui come altrove. Cerco di insegnare loro a non temere tentativi e fallimenti, a non accontentarsi e a non porsi steccati. Siano questi barriere mentali o fisiche. I ragazzi non scelgono in base a criteri geografici, in Italia o "fuori" oggi non regge più. I confini, come li conoscevamo, sono categorie superate. Mi sono laureato al Politecnico oramai più di vent’anni fa: ho visto migliaia di volti e nei loro occhi ho sempre letto serietà e impegno, consapevolezza nell’affrontare un percorso di studi che non concede sconti. Ci chiedono, come padri, predecessori e maestri, di ripagare, con altrettanta riconoscenza e interesse, soddisfazione e coraggio, le giuste aspettative.

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