mercoledì 25 luglio 2018
L'ultima edizione del rapporto Ismea conferma la crescita di un settore che ha toccato gli 1,4 milioni di occupati
Agroalimentare da record: export a 41 miliardi nel 2017
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È un settore davvero miliardario quello dell’agroalimentare nazionale. E che vale, oltre ai soldi, milioni di posti di lavoro. Per questo va difeso (soprattutto dalla concorrenza sleale) e valorizzato meglio e con più forza di quanto fino ad oggi è stato fatto. È il messaggio che arriva dal 'Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano' presentato ieri da Ismea che ha snocciolato una serie di numeri che fanno capire tutto: 61 miliardi di euro di valore aggiunto, 1.4 milioni di occupati, oltre 1 milione di imprese e 41 miliardi di euro di esportazioni. Numeri di fronte ai quali il Ministro delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio, ha commentato: «Abbiamo un potenziale enorme in termini di valore della produzione, denominazioni registrate, crescita del bio. Ma dietro le cifre c’è di più. C’è tutto il ’peso’ della qualità. Ci sono la passione, la storia, la tradizione che rendono unico il Made in Italy agroalimentare nel mondo». Mentre il direttore generale di Ismea ha sottolineato come l’agroalimentare sia uscito «dal decennio di crisi con un ruolo più forte nell’economia italiana, dimostrando una grande tenuta economica e sociale nel corso della crisi e una buona capacità di agganciare la ripresa». Tutto bene dunque, o quasi. Il comparto deve adesso fare i conti con l’ondata di protezionismo dilagante che ha nei dazi la sua maggiore espressione. Per questo il ministro ha elencato le priorità di intervento: «Rendiamo più competitive le imprese agrituristiche – ha affermato –, potenziamo l’export, garantiamo una filiera sicura ed equilibrata per offrire anche nuovi posti di lavoro ai più giovani, tuteliamo il reddito delle nostre imprese». Che occorra stare attenti è chiaro. Anche se, dice Ismea, negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane del settore sono aumentate del 23%, più di quelle dell’Ue (+16%). Quasi una crescita da manuale, che deve però fare i conti con altri numeri. Su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, per esempio, rimangono come utile solamente 6 euro, contro i 17 euro per le imprese del commercio e del trasporto. Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, l’utile per l’imprenditore agricolo si contrae ulteriormente, scendendo sotto i 2 euro (come per l’industria alimentare), mentre la quota preponderante va alla distribuzione e alla logistica che trattengono 11 euro.

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