domenica 13 maggio 2018
Si è spento venerdì Giancarlo Galli, editorialista economico di Avvenire, classe 1933. Profondo conoscitore della "finanza bianca", acuto analista, irriverente quando occorreva
Addio a Giancarlo Galli, maestro di giornalismo
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Entrava in redazione di buon mattino, per spulciare qualche quotidiano che non aveva ancora letto, proporre un corsivo – genere in cui eccelleva – o un approfondimento sul mondo dell’alta finanza e sui grandi personaggi dell’economia italiana. Quei 'poteri forti' che aveva conosciuto direttamente, intervistato, incalzato, per certi versi quasi auscultato, in sessant’anni di carriera, con gli strumenti del giornalista, inesauribile curiosità e una passionale voglia di scrivere.

Giancarlo Galli, editorialista economico di Avvenire, si è spento venerdì dopo l’ultima battaglia con il cancro che, più volte nel corso della sua lunga vita, aveva già affrontato e sconfitto. Classe 1933, era nato a Gallarate e molto presto, alla professione di giornalista, ha affiancato quella di saggista, pubblicando le biografie di personalità che hanno fatto la storia dell’economia italiana: da «Il banchiere eretico. La singolare vita di Raffaele Mattioli» a «Gli Agnelli. Una dinastia un impero»; da «Il padrone dei padroni. Enrico Cuccia e il capitalismo italiano» fino all’ultimo titolo di successo, «Il banchiere innamorato», dedicato alla figura di Giorgio Zanotto, storico presidente della Banca Popolare di Verona.

Per noi giovani cronisti che lo abbiamo frequentato quasi settimanalmente negli ultimi vent’anni era una fonte fresca di aneddoti e storie irreperibili altrove. Di Mattioli e Cuccia verso i quali – soprattutto verso il secondo – nutriva un rispetto levigato dalla nostalgia del tempo perduto, continuava a ricordare, nel racconto di incontri frugali in Via Filodrammatici e in Piazza della Scala, il rigore morale e il disinteresse per il denaro proprio, non certo per il potere, distacco che non riusciva a rintracciare più, tranne rare eccezioni, a partire dall’amico Giovanni Bazoli, nei loro epigoni. Da Giancarlo abbiamo imparato soprattutto – talvolta riuscendoci, altre volte meno – a mantenere la schiena diritta anche davanti alla forza seducente e per questo manipolatrice di chi veste con una disinvoltura soverchiante i panni del potere e del successo. Lui ce la faceva, sempre. Si trattasse di 'gnomi della finanza', di politici di grido, si chiamassero pure Craxi o Cossutta, oppure di grandi industriali. Uomini di potere, indubbiamente, con i quali si rapportava in modo asciutto, tagliente e qualche volta caustico; ma sempre elegante, come la prosa dei suoi articoli e libri, molti dei quali tradotti anche all’estero. Aveva avuto a suo volta, il Galli, buoni maestri in materia di non subalternità al potere. A partire da quell’Enrico Mattei che, dopo averlo conosciuto per un servizio a Metanopoli, lo volle giovanissimo alla redazione del Giorno, uno dei primi fra i tanti quotidiani e periodici con cui avrebbe in seguito collaborato.

Se le cose si mettevano male, amava ripetere, esiste sempre lo scudo dell’ironia. Anche irriverente, qualora servisse, un’attitudine mentale in grado comunque di rintuzzare le offensive dell’arroganza e ancor più quelle della stupidità. Quando lo diceva, scoppiava in una risata fragorosa. E se ne andava con un foglio spiegazzato tra le mani, sul quale aveva appuntato un paio di idee per il pezzo da scrivere, rigorosamente a macchina, nel primo pomeriggio, tanto il computer e men che meno Internet, per lui, non erano ancora stati inventati. Fino a qualche anno fa il suo pezzo lo dettava alla dimafonia; negli ultimi tempi lo portava il mattino seguente. Battuto a mano, ça va sans dire, felice di commentarlo e, se occorreva, di correggerlo con chi l’avrebbe messo in pagina.

Giancarlo Galli conosceva più di chiunque altro la cosiddetta 'Finanza bianca', titolo di uno dei suoi tanti, fortunati libri, di cui ha saputo riconoscere e narrare le virtù senza nasconderne i vizi e pure le degenerazioni. È stato cofondatore – insieme ad Angelo Caloia – e per anni segretario del «Gruppo Etica e Finanza», cornice entro la quale si svolgevano e hanno continuato a svolgersi per lustri i seminari su etica e affari istituiti da Carlo Maria Martini. Qualche mese fa gli chiedemmo un commento sull’elezione di Emmenuel Macron, ex banchiere d’affari, i soggetti psicologici che alla fine prediligeva; ancor più perché si trattava di un cugino d’Oltralpe. Giancarlo amava infatti la Francia, traguardata grazie alle sue frequentazioni degli azionisti francesi di Mediobanca, a partire dai banchieri di Lazard. A Parigi soggiornava con regolarità. Disse come al solito di sì, con il suo ghigno entusiasta e fanciullesco, l’occhio vigile, la consueta passione e il cappello in testa. Ma il corpo faticava. Quel fondo non ci è mai arrivato, la malattia aveva preso il sopravvento. Ne avrà di certo parlato con la moglie Luisa, con la quale avrebbe festeggiato proprio oggi i 61 anni di matrimonio, o con il figlio Stefano. Loro avranno potuto apprezzare anche in tale circostanza le sue analisi aguzze. A noi resta invece la curiosità per quel che Giancarlo avrebbe scritto dell’ultimo astro politico europeo, l’archivio dei suoi articoli, una miniera di buon giornalismo, gli scaffali dei suoi libri. Ma conserviamo soprattutto il privilegio di averlo incontrato e, per un pezzo di strada, l’ultimo per lui, il primo per noi, di averci lavorato insieme, imparando.

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