domenica 11 marzo 2018
Il governo americano vuole impedire che Broadcom, basata a Singapore, compri Qualcomm, uno dei campioni delle telecomunicazioni americane. In gioco non c'è solo un'azienda.
Lo stand di Qualcomm al Ces 2016 (Maurizio Pesce, Wikimedia Commons)

Lo stand di Qualcomm al Ces 2016 (Maurizio Pesce, Wikimedia Commons)

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La Cina ha l’ambizione di diventare la prima potenza dell’economia mondiale, gli Stati Uniti vogliono impedirlo. È una guerra economica grossa quella che si sta combattendo tra Washington e Pechino. Lo scontro a colpi di dazi avviato da Donald Trump è solo una battaglia dentro a un conflitto più ampio, la cui intensità sta pericolosamente aumentando negli ultimi mesi.

Nelle settimane in cui Trump ha stupito tutti con i dazi si sta combattendo anche un altro scontro gigantesco, con al centro Qualcomm, gruppo californiano leader mondiale nei microchip per i telefonini e nella tecnologia 5G. Il 5G è la rete cellulare ultra-veloce di nuova generazione che nei prossimi anni renderà possibile la diffusione massiccia della cosiddetta "internet delle cose". Se possiamo pensare a un futuro prossimo popolato di auto che si guidano da sole, fabbriche completamente automatizzate, reti elettriche capaci di autoregolarsi per ottimizzare i consumi e altre centinaia di innovazioni e applicazioni dell’intelligenza artificiale in campi come la sanità, l’ambiente o la sicurezza è perché siamo vicini alla definizione del protocollo del 5G, la tecnologia che sarà la piattaforma capace di fare girare tutto il sistema.

Si prevede che il 5G possa essere realtà già dal 2020. Siamo nella volata finale della corsa mondiale per imporre lo 'standard' delle nuove reti, quello a cui si dovranno adeguare le aziende di tutto il mondo. Come ha ammesso l’amministratore delegato della svedese Nokia all’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, ormai è una partita tra Stati Uniti e Cina, con l’Europa e la Corea del Sud che inseguono ma sono in ritardo.

Qualcomm, assieme a Intel e Cisco, è uno dei campioni industriali che fa sperare agli Stati Uniti di potere definire lo standard mondiale del 5G. A Washington guardano con molta attenzione tutto ciò che accade attorno a questa società basata a San Diego. E sta accadendo anche troppo. Broadcom, un’altra società nata in California, a San José, ma "incorporata" a Singapore dal 2015, quando è stata acquisita dall’asiatica Avago che ne ha preso anche il nome, sta cercando in tutti i modi di comprarsela. Il suo amministratore delegato, il malese Hock Tan, a inizio novembre ha visitato Donald Trump nello Studio Ovale e gli ha promesso che riporterà la sede del gruppo in California già quest’anno, incassando sontuosi ringraziamenti pubblici. Dopodiché ha lanciato l’assalto a Qualcomm, proponendo prima 105 miliardi di dollari tra azioni e contanti e poi, dopo un primo rifiuto, alzando la posta a 120.

È la più grossa offerta di sempre nel mondo delle tecnologie. Il consiglio di amministrazione di Qualcomm non cede. Tan lo ha sfidato proponendo sei candidati per il rinnovo del consiglio di amministrazione, dove i posti sono undici. Se riuscisse a imporre i suoi uomini nel Cda, la strada per l’acquisizione sarebbe sgombra. Ma ci si è messo di mezzo il governo. Qualcomm si è rivolta al Comitato per gli investimenti stranieri negli Stati Uniti (il Cfius), chiedendo di verificare se l’acquisto da parte di Broadcom può porre dei problemi di sicurezza nazionale. Il Cfius, che fa parte del dipartimento del Tesoro, ha risposto di sì: il rischio c’è. In una lettera del 5 marzo ha imposto di rinviare di almeno un mese la riunione dell’assemblea degli azionisti che il 6 marzo avrebbe dovuto votare il rinnovo del Cda. L’appuntamento è rinviato al 5 aprile, nel frattempo il Cfius approfondirà la questione.

Per Broadcom sarà dura. Il Comitato ha accusato Broadcom di volersi comportare come un fondo speculativo, riducendo gli investimenti di Qualcomm per aumentare la redditività. Questo può indebolire Qualcomm nella corsa al 5G. «La riduzione della competitività tecnologica a lungo termine di Qualcomm e della sua influenza nel fissare gli standard lascerebbe spazio per un’espansione della Cina nel determinare gli standard del 5G» ha scritto Aimen Nir, reponsabile del Cfius. Come ha spiegato al Wall Street Journal l’avvocato Brian Fleming, esperto di cause di sicurezza nazionale, sono questioni che pongono problemi di lungo termine: «Non sono cose che hanno conseguenze immediate nel giro di sei mesi o un anno, ma il governo guarda su un orizzonte di cinque o dieci anni. Se non agiamo ora, avremo problemi seri».

Il Cfius cita aziende precise: «Date le note preoccupazione di sicurezza nazionale americane riguardo Huawei e altre compagnie di telecomunicazioni cinesi, un passaggio al predominio Cinese nel 5g porrebbe conseguenze negative per la sicurezza degli Stati Uniti ». Il riferimento è al report della commissione Intelligence del Congresso che nel 2012 ha chiesto alle aziende di telecomunicazioni americane di non utilizzare le apparecchiature fornite dalle cinesi Huawei o Zte, per il rischio che il governo cinese possa obbligarle a raccogliere illegalmente dati o a spegnere le reti nel caso di conflitto con gli Stati Uniti. Broadcom, che oltre al trasloco in America ha promesso più investimenti in ricerca e sviluppo negli Stati Uniti, non molla.

Le paure di Washington non sono un caso isolato. Il Financial Times ha riportato i timori di alcuni eurodeputati socialisti tedeschi: Qualcomm sta comprando, per 44 miliardi di dollari, la società olandese Nxp, che fa i chip per i passaporti dei cittadini della Germania. L’idea che il controllo di un’azienda che maneggia materiale simile passi a un soggetto di Singapore non è considerata rassicurante. A conferma che lo scontro commerciale e protezionista tra Occidente e Cina dove gli Stati Uniti hanno fatto le mosse più aggressive ma l’Europa non sta certo rimanendo a guardare - si sta imponendo come uno dei grandi temi di questi anni. In gioco c’è lo spazio economico e politico che le democrazie occidentali sono disposte a concedere al regime autoritario cinese, un regime che con l’abolizione del limite dei due mandati per il presidente si sta ulteriormente allontanando da quel futuro democratico a cui molti, in Occidente, speravano sarebbe inesorabilmente arrivato sulla spinta dello sviluppo economico.

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