martedì 6 ottobre 2020
Carburanti dall'olio vegetale, dai rifiuti, dalle alghe: i petrolieri lavorano su prodotti a CO2 azzerata per la transizione energetica. Perché l'auto elettrica non è l'unica soluzione "verde"
Una veduta della raffineria di Porto Marghera, la prima al mondo ad essere riconvertita alla produzione di biocarburanti

Una veduta della raffineria di Porto Marghera, la prima al mondo ad essere riconvertita alla produzione di biocarburanti - Eni

COMMENTA E CONDIVIDI

«Per noi questa è una giornata storica» ha annunciato il presidente Claudio Spinaci in apertura dell’assemblea annuale dell’Unione petrolifera. Spesso la storia viene tirata in mezzo a sproposito, ma non è questo il caso: dopo oltre settant’anni di attività l’associazione dell’industria dei petrolieri italiani cambia nome per levare il riferimento al greggio e mostrare nel modo più evidente quanto queste aziende siano pronte a impegnarsi nella transizione energetica. Il nuovo nome dell’Up è Unem, che sta per Unione energie per la mobilità, e il cambio di approccio non è solo nel nome.

Le aziende che da sempre si occupano di lavorazione, logistica e distribuzione di prodotti petroliferi sono sempre più attente allo sviluppo di carburanti alternativi: biocarburanti ottenuti da rifiuti e biomasse, carburanti liquidi a basso contenuto carbonico, e-fuel a impatto carbonico zero che catturano la stessa quantità di CO2 che emettono in atmosfera. «Oggi il petrolio rappresenta il 90% della nostra attività. Ma gradualmente sarà sostituito da altre materie prime per arrivare una produzione di carburanti completamente decarbonificata» ha spiegato Spinaci invitando a parlare all’assemblea John Cooper, direttore dell'associazione europea FuelsEurope che ha lanciato Clean Fuels for All, il progetto per arrivare alla neutralità carbonica nel 2050 ottenendo una riduzione delle emissioni di CO2 di 100 milioni di tonnellate all’anno già dal 2035. Non sono progetti futuristici: in Europa sono già attivi diciotto impianti per la produzione di biocarburanti. Due sono in Italia: le bioraffinerie di Eni a Gela e Porto Marghera, che producono biocarburanti da oli vegetali e (quella siciliana) anche grassi, alghe e altri sottoprodotti di scarto. «Sappiamo che la domanda per i carburanti liquidi in futuro diminuirà e diminuirà la quantità di petrolio che sarà estratta del terreno e distribuita – ha spiegato Cooper –. Noi vediamo comunque un ruolo importante per i carburanti liquidi low carbon nel Green Deal. Possiamo arrivare a produrne 30 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2030».

Il problema è l’approccio manicheo che spesso si vede nel dibattito sui temi ambientali. Quello per cui l’auto elettrica è il bene e il motore diesel è il male. L’Unem, così come tutti i produttori di carburanti europei, chiede una visione più seria, che parta ad esempio dal valutare sempre in accoppiata le emissioni carboniche dei veicoli e di ciò che li alimenta. Perché se l’elettricità che spinge un’auto elettrica è prodotta bruciando gas naturale, petrolio o carbone allora è evidente che l’impatto di un veicolo del genere non può essere “zero”. «La valutazione delle emissioni non può essere fatta solo allo scarico. Questo metodo non è sbagliato solo dal punto di vista tecnico, ma non dà nemmeno vantaggi nell’abbattimento delle emissioni» nota Spinaci.

Per convertire l’industria dei carburanti verso produzioni innovative a impatto ambientale limitato servono investimenti. Per centrare quei 30 milioni di tep di biocarburanti nel 2030 si stimano, a livello europeo, costi tra i 30 e i 40 miliardi di euro. Per arrivare a 150 milioni di tep all’anno nel 2050 occorrono tra i 400 e i 650 miliardi. Nello scenario più ambizioso si può ottenere la neutralità carbonica per tutti i carburanti liquidi per il trasporto stradale e un taglio del 50% delle emissioni per i trasporti aereo e marittimo. L’industria del settore vuole che questi progetti siano presi in considerazione nell’ambito delle risorse del piano Next Generation Eu.

Spinaci non ha nascosto che in Italia il dialogo con questo governo sia complicato. «Abbiamo difficoltà a interloquire in modo diretto con i vari ministeri, c’è un certo pregiudizio ideologico, rapporti solo formali» ha ammesso il presidente di Unem. La fatica di questo confronto è visibile nel dibattito sul taglio degli incentivi alle fonti inquinanti, che sembra implicare un inesorabile rialzo delle accise sui carburanti diesel. «La tassazione dei carburanti in Italia è la più elevata d’Europa, qualsiasi aumento aumenterebbe la distanza competitiva tra noi e gli altri – ha sottolineato Spinaci –. Proprio perché queste misure creano un problema di competitività noi chiediamo che la riforma della tassazione dei prodotti energetici sia fatta a livello di Unione europea». Anche qui non si parla di obiettivi teorici. Lo scorso luglio, la Commissione europea ha aperto la consultazione pubblica sulla revisione della sua Direttiva sulla tassazione dell’energia: Bruxelles raccoglierà pareri proprio con l’obiettivo di riformare il trattamento fiscale dei prodotti energetici così da favorire le soluzioni che riducono le emissioni di gas serra.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI