lunedì 11 maggio 2015
La lezione della crisi: soffrono di più i Paesi "centrati" sull’individualità.
IL RAPPORTO Nel Bes si misura anche la "dieta"
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La stazionarietà prolungata dello sviluppo si accompagna ad una disattenzione diffusa per il benessere sociale, la coesione e la qualità della convivenza e per la loro importanza anche ai fini economici. Eppure i dati e le ricerche prodotte a livello internazionale e nazionale mostrano con evidenza il vantaggio, in termini di risultati ottenuti, delle politiche che mostrano un profilo solido dal punto di vista del benessere ampiamente inteso (well being) e dei relativi strumenti di sostegno. A livello internazionale, particolarmente utili sono le analisi della Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), che registrano, oltre ad altri trend, anche i divari tra Paesi in termini di ottimismo sul futuro, soddisfazione personale, benessere, livello di corruzione, ruolo della famiglia e del lavoro di cura non retribuito, importanza dei livelli di tutela della salute, criticità dei rapporti interetnici e delle tensioni sociali tra poveri e ricchi, importanza del lavoro volontario e dell’impegno civico. Su queste ed altre aree critiche il rapporto indica una sorta di percorso obbligato per tentare di imboccare una via di uscita dai mali prodotti dalla crisi, soprattutto in alcuni dei contesti nazionali analizzati. "Pane quotidiano" si potrebbe obiettare, per chi si occupa di analisi sociali.Molto meno ovvio è un simile approccio nel quadro dei contributi fino a oggi dati dalla reportistica e dalle analisi su indicatori delle fonti internazionali. Le analisi a livello italiano, d’altra parte, registrano nel dettaglio della realtà nazionale la tenuta di alcuni valori fondativi della nostra società, dalla convivialità, alla accoglienza, alla comunità, alla relazionalità, al benessere psico-fisico, che registrano addirittura un recupero di significato nella percezione diffusa a livello sociale. Così, mentre le istituzioni si concentrano  sui conti pubblici e sulla credibilità internazionale, i soggetti sociali mettono in atto sempre più complesse strategie di sopravvivenza, che vedono al primo posto la valorizzazione dell’impegno personale, la famiglia, le relazioni umane, la solidarietà, l’associazionismo. Lo stesso trend della "low-slow" economy" va considerato con meno scetticismo, in quanto rappresenta la tendenza a dare maggiore peso, nei consumi come nella produzione, alla qualità piuttosto che alla quantità, agli aspetti di contesto sociale e territoriale più che a quelli meramente economico-finanziari, alla comunità di vita più che agli apparati burocratici. Immaginando che la crisi possa aiutarci ad individuare i tratti portanti di una nuova economia del benessere, più umana e centrata sulla persona, ed a farci compiere una ristrutturazione benefica di un assetto sociale con forti problemi di tenuta, andrebbero quindi fortemente rivalutate le iniziative che si occupano della promozione di un lavoro a misura d’uomo, che puntano ad una organizzazione sociale e a una urbanistica che producano benessere, che sviluppano politiche sociali centrate sulla coesione e sulla valorizzazione di relazioni esistenziali significative. Dice Alain Ehrenberg nella "Società del disagio" che soffrono di più in simili congiunture i Paesi, e i relativi popoli, la cui identità è centrata sulla dimensione individuale, più che su quella collettiva e che le società e le culture mediterranee avrebbero questa caratteristica. E non va dimenticato anche quanto già Leopardi affermava sulla cultura degli italiani, e cioè che le élite si tengono spesso distanti dall’impegno politico, privando il Paese di forze vitali essenziali per la coesione. È quanto anche Christopher Lasch dice nel suo "La ribellione delle élite", e non solo per le culture mediterranee. E se la congiuntura economico-finanziaria richiede un intervento straordinario di riduzionismo economico dei problemi, bisogna da subito pensare anche allo sviluppo della cultura civica collettiva e individuale in forme più mature e più volte a consolidare il bene comune, e ad un impegno delle élite morali e sociali del paese maggiore, da sostenere attraverso meccanismi di cooptazione nei posti del potere centrati sui valori collettivi. Riprendendo una formulazione di Claus Offe (What, if anything, might we mean by progressive politics today?") si può dire che occorrerebbe fare un ulteriore salto di qualità da ciò che Offe chiama "progresso lordo", vale a dire la crescita economica senza adeguati correttivi, al "progresso netto", vale a dire la crescita del benessere inteso in senso completo e con adeguati correttivi da porre agli aspetti economico-finanziari.
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