venerdì 5 luglio 2019
L’arcivescovo di Taranto chiede al governo e all’azienda di trattare sull’immunità per «trovare forme» in cui sia garantita e quindi scongiurare il rischio della chiusura
L'arcivescovo di Taranto Filippo Santoro (Siciliani)

L'arcivescovo di Taranto Filippo Santoro (Siciliani)

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«Io sono a Taranto dal 2011 e in questi otto anni ho visto un’insostenibile altalena di speranze suscitate e tradite. La pazienza ha un limite e ci aspettiamo che dall’azienda e dal governo ci sia una decisione chiara rispetto alla direzione verso cui procedere. Tutelando il lavoro, l’ambiente e la salute degli operai e dei tarantini». L’arcivescovo Filippo Santoro – che è anche presidente della Commissione episcopale Cei per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace – non nasconde che dopo tanti anni la città è davvero stanca dell’incertezza sul futuro della sua acciaieria.

Lo sciopero contro la cassa integrazione è il segnale di come sia esplosa la tensione tra ArcelorMittal e i lavoratori. Innanzitutto considero questo sciopero un atto di responsabilità dei lavoratori, che finalmente intervengono e rivendicano i loro diritti. È molto importante la qualità della partecipazione: non voglio certo entrare nel balletto dei numeri diversi tra azienda e sindacati, ma certamente ho visto una partecipazione molto significativa. È qualcosa che ho sempre auspicato nelle varie fasi della vicenda dell’acciaieria, perché notavo una certa passività da parte dei lavoratori. Penso che dovrebbero intervenire anche sulla questione dell’immunità, che mette a rischio il futuro della fabbrica. È normale che la cassa integrazione sia adesso più sentita, perché è la questione più urgente, ma sarebbe utile una mobilitazione anche rispetto a una questione che minaccia il posto di tutti i lavoratori legati direttamente o indirettamente all’ex Ilva.

Che cosa, a suo giudizio, ha “svegliato” i lavoratori?
C’è stata un’alterazione dei patti iniziali, sarebbe stato strano se non fossero intervenuti. ArcelorMittal quando ha preso l’ex Ilva si era impegnata a mantenere i posti di lavoro, e lo ha fatto, ma era anche previsto che non ricorresse alla cassa integrazione. Capisco che sul mercato internazionale dell’acciaio la situazione sia molto difficile ma fatico a credere che un gruppo multinazionale di quelle dimensioni non possa fare a meno di ricorrere alla cassa integrazione per 1.400 persone. Su questo tema è importante che ci sia un negoziato approfondito, non sono accettabili posizioni unilaterali.

Ha già accennato alla questione dell’immunità. Dopo il decreto del governo e la posizione dell’azienda, sulla fabbrica pesa la scadenza del 6 settembre. Siete ottimisti sulla possibilità che si arrivi a una soluzione?

Io ho chiesto e continuo a chiedere al governo e all’azienda di negoziare a oltranza. Dopo tutto il lavoro fatto per trovare un acquirente non possiamo permetterci di ripartire da zero. Facciamo in modo che l’impresa rispetti gli impegni presi sul fronte ambientale, cosa che sta facendo anche in tempi più rapidi di quanto concordato con l’avanzamento della copertura dei parchi minerali, e su quello sanitario. Cerchiamo di spingere sullo sviluppo e l’innovazione tecnologica, ad esempio con il ciclo completo del carbone. Ma se per riuscirci l’immunità così com’era prevista nel contratto di settembre 2018 deve essere mantenuta, bisognerà trattare per trovare forme in cui questo sia garantito. Ripeto: dobbiamo intervenire sulla produzione per fare in modo che non nuoccia alle persone e all’ambiente. Ma non possiamo lasciare chiudere l’impianto.

Siete delusi dalle scelte fatte da ArcelorMittal?
Ci auguriamo che l’azienda sappia mostrare una maggiore capacità di dialogo. Come ho detto, ArcerlorMittal ha rispettato i tempi, anche anticipandoli, rispetto agli impegni ambientali. Vorremmo che mostrasse lo stesso impegno anche nel dialogo con i lavoratori. È quello che ho detto due settimane fa, quando mi hanno invitato a partecipare all’assemblea generale congiunta della Federmeccanica e Confindustria di Taranto, proprio negli stabilimenti ex Ilva. Lì non c’era il sindaco, non c’era il presidente della Regione e ho sentito il dovere di ricordare che ambiente e lavoro dovevano essere entrambi pienamente rispettati. Mi piace l’immagine dei due figli: nessuno deciderebbe mai di farne morire uno per salvare l’altro. La prospettiva deve essere davvero quella di mettere il bene delle persone al primo posto, difendendo con lo stesso impegno il lavoro, la salute e l’ambiente.

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