venerdì 19 novembre 2021
L’allarme è dovuto soprattutto all’inflazione ed è emerso dal primo Rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini legate al cibo dei cittadini nel post Covid
Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, accanto al trattore a biometano

Il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, accanto al trattore a biometano - Archivio

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Sono almeno 4,8 milioni gli italiani a rischio di povertà alimentare nei prossimi mesi. Tutta colpa dell’inflazione. Almeno da quanto emerge dal primo Rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani nel post Covid presentato ieri in occasione del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato dalla Coldiretti con la collaborazione dello studio The European House- Ambrosetti, a Villa Miani a Roma. In una situazione resa difficile dalla pandemia, infatti, basta un rialzo dei prezzi dei beni alimentari a rendere molto difficile la garanzia dei pasti sempre e comunque a una larga fascia della popolazione. A questi si aggiunge peraltro un 17,4% di italiani già consapevole che dovrà restare ancorato alle sole spese minime, tra casa e alimentazione, per la paura di non farcela. Un esito nuovo imprevisto della pandemia, con la società italiana che, dopo aver tenuto grazie agli effetti dell’intreccio tra sussidi e solidarietà da parte delle reti famiglia e di comunità, a partire dal mondo rurale, si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con l’effetto valanga determinato dall’impennata dei costi energetici. Un balzo che spinge l’inflazione trasferendosi sui costi di produzione e sui bilanci delle imprese, dai carburanti ai fertilizzanti, dalle macchine agli imballaggi fino ai mangimi per alimentare il bestiame.

«Dinanzi a una situazione inedita serve responsabilità della intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore per salvare aziende agricole e stalle», ha sottolineato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Nonostante la pandemia e le fiammate inflazionistiche, nel 2021 il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia per un valore di 575 miliardi di euro, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Il risultato è che il made in Italy vale quasi un quarto del Pil nazionale e dal campo alla tavola vede impegnati ben quattro milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.

Non a caso l’alimentare italiano fa registrare il record storico nelle esportazioni raggiungendo quota 52 miliardi di euro. Un altro record riguarda le specialità alimentari tradizionali. Grazie all’opera di intere generazioni di agricoltori impegnati a difendere nel tempo la biodiversità sul territorio e le tradizioni alimentari, il numero delle tipicità regionali che l’Italia può offrire è passato dalle iniziali 2.188 del primo censimento nel 2000 alle 5.333 attuali con un aumento del 167% dei prodotti salvati dal rischio di estinzione, accelerato dall’emergenza sanitaria. La Campania si piazza in testa alla classifica delle regioni con più specialità tipiche, ben 569, davanti a Toscana (463) e Lazio (438).

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