mercoledì 19 gennaio 2022
Uno studio del gruppo di lavoro costituito dal ministro indica un peggioramento della situazione rispetto a una media Ue al 9,2%
Un rider al lavoro

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In Italia più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà e circa un quarto ha una retribuzione individuale bassa. Un fenomeno che risulta più marcato anche nella comparazione con gli altri Stati europei. Nel 2019 – secondo Eurostat – l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media Ue del 9,2%. A smentire il luogo comune che vorrebbe la povertà legata alla mancanza di un lavoro è la Commissione sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia del ministero del Lavoro, che ieri ha presentato il suo rapporto conclusivo 2021. «Sul lavoro povero non si può rimanere senza fare niente – ha spiegato il ministro del Lavoro Andrea Orlando –. Rimanere fermi vuol dire accettare l’idea del lavoro povero. Non si può dire che non si fa nulla sulla rappresentanza e che non si fa nulla sul salario minimo. Non c’è ancora il dato aggiornato, ma credo che ci sarà un’accentuazione del fenomeno. Sicuramente con la pandemia la situazione non è migliorata. Abbiamo in parte scongiurato un’emergenza sociale. Anche se il lavoro povero riguarda soprattutto giovani e donne».

La povertà, infatti, per l’economista Andrea Garnero – che ha presentato il rapporto – «è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro, quante ore a settimana e quante settimane in un anno; la composizione familiare, in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo; il ruolo redistributivo giocato dallo Stato». Per questo le categorie più a rischio sono i lavoratori occupati solo pochi mesi all’anno o a tempo parziale o ancora i lavoratori autonomi, monoreddito e con figli a carico. È per questa sua natura che la povertà lavorativa necessita di una strategia complessa che preveda la contemporanea messa a terra di una molteplicità di strumenti con cui sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito e assicurare un sistema redistributivo ben mirato.

Cinque le proposte elaborate per un pacchetto da rendere operativo contestualmente in ogni sua parte. Si parte dalla garanzia di un salario minimo adeguato, rafforzandone la vigilanza documentale, per passare all’introduzione di forme di sostegno al lavoro, all’incentivazione del rispetto del contratto da parte delle aziende aumentando la consapevolezza e l’informazione tra gli stessi lavoratori oltre che a promuovere una revisione dell’indicatore Ue di povertà lavorativa. Si torna dunque a parlare di salario minimo. Ma alla proposta sperimentale della Commissione, di limitarlo a un numero limitato di settori in crisi, si associa anche un’altra proposta: quella di creare un sostegno economico che integri i redditi dei lavoratori poveri, con cui aiutare chi si trova in difficoltà economiche incentivando l’occupazione regolare. Uno strumento, si legge, con cui di fatto, assorbire gli 80 euro, ora bonus dipendenti, e la disoccupazione parziale per arrivare a uno strumento unico , di facile accesso e coerente con il reddito di cittadinanza e il nuovo assegno unico.

Tutti gli interventi disegnati dalla Commissione avranno comunque bisogno di una contemporaneità operativa perché – si legge nel rapporto – «nessuna proposta presa in isolamento è risolutiva» e se non combinate con altre potrebbero rischiare di essere inefficaci (come un salario minimo senza controlli più stringenti) o addirittura dannose. In Italia solo il 50% dei lavoratori poveri percepisce una prestazione di sostegno al reddito (la media Ue è del 65%). Una strategia, però, prosegue il dossier, che dovrà affrontare «anche le debolezze macroeconomiche e di politica industriale, le politiche per il lavoro (politiche attive, regolazione lavoro atipico, contrattazione) e gli investimenti in istruzione e formazione con l’obiettivo di aumentare quantità e qualità del lavoro nel nostro Paese».

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