giovedì 22 gennaio 2015
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«C’è la possibilità di fissare alcuni paletti per difendere la specificità di questi istituti e soprattutto garantire la loro italianità». Gregorio Gitti, deputato Pd in commissione Finanze e ordinario di Diritto civile, è «pronto a presentare una serie di emendamenti sui quali credo che tutto il gruppo Pd potrà convenire».Ma era necessario un decreto?Sarebbe stato certamente meglio procedere con un disegno di legge. Ma la questione ormai è oziosa. Il decreto c’è e occorre aprire un confronto per far sì che la riforma porti realmente a un consolidamento del sistema bancario, con la nascita di un grande terzo polo dopo Unicredit e Intesa.Non c’è il rischio di regalare a banche e fondi stranieri una porzione significativa del nostro risparmio?È appunto il rischio che dobbiamo evitare. Per farlo ci sono diversi strumenti. A cominciare dal limite al possesso azionario o al diritto di voto da inserire nei nuovi statuti delle 10 Popolari. Già nello statuto di una grande Spa come Unicredit si prevede un limite al 5% per il diritto di voto. Per Popolari delle dimensioni di Banco Popolare, Bpm o Ubi banca si potrebbe ipotizzare un limite analogo. Per quelle non quotate, come la Popolare di Vicenza, si potrebbe in alternativa introdurre il principio del voto plurimo, eventualmente estendibile anche ai soci fondatori delle quotate, come le fondazioni e le associazioni di soci.Non sarebbe meglio limitare la riforma alle quotate?No, perché il criterio in realtà riguarda le banche che rientrano nella vigilanza della Banca centrale europea e prescinde dalla modalità di accesso al mercato dei capitali. Bisogna però evitare la trappola di assemblee delle Popolari chiamate a deliberare la trasformazione in società per azioni ancora con il voto capitario. Più ragionevole sarebbe concedere alle banche, nell’ambito della loro autonomia, di autoriformarsi secondo i principi della nuova disciplina: in mancanza della relativa delibera assembleare entro il termine predefinito dei 18 mesi scatterebbe automaticamente la trasformazione in Spa ope legis. Sembra infatti inutile l’arma spuntata della proposta da parte di Bankitalia alla Bce di revoca della licenza.Cambia poco, però. Il destino delle popolari resta segnato...La difesa a oltranza del voto capitario per i grandi istituti mi sembra perdente. E in parte questa riforma è colpa anche delle stesse Popolari, della loro rigidità di fronte a qualunque progetto di riforma in passato. Ma, ripeto, c’è ancora la possibilità di fissare paletti e "ancoraggi" al territorio per evitare una trasformazione brutale.Non rischiano in futuro di essere snaturate anche le piccole popolari e soprattutto le Bcc?Non credo. Tuttavia per le Bcc si potrebbero immaginare incentivi fiscali alla fusione e all’apertura dei Consigli d’amministrazione alla dirigenza bancaria, e disincentivi per chi non lo fa.
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