mercoledì 27 marzo 2019
Per il Csc nel 2019 il Pil sarà fermo, per Prometeia +0,1%. Tria: puntare tutto sulla crescita. Ma con le clausole di salvaguardia per reddito e Quota 100 il governo ha già ipotecato i conti pubblici
L'Italia si è fermata come un macchinario inceppato (foto di Skitterphoto da Pexels)

L'Italia si è fermata come un macchinario inceppato (foto di Skitterphoto da Pexels)

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Il Pil italiano quest’anno crescerà pochissimo, forse non crescerà affatto. Quel +1,5% di espansione su cui il governo aveva inizialmente preparato la finanziaria 2019, poi corretto all’1% nel negoziato con l’Europa, è un dato che ormai sembra appartenere ad altre epoche. In due differenti analisi di previsione pubblicate questa mattina, il Centro studi di Confindustria (Csc) e quello di Prometeia hanno corretto pesantemente le loro indicazioni di qualche mese fa. Il Csc lo scorso ottobre prevedeva per quest’anno una crescita del Pil italiano dello 0,9% e adesso indica invece crescita zero. Prometeia a dicembre indicava un +0,5% e ora ha ridotto a +0,1%.

Non è solo per colpa dell’Italia se la situazione sta peggiorando così rapidamente. Le principali incognite vengono da fuori: c’è il problema della Brexit e l’incertezza sui rapporti commerciali internazionali, in attesa di capire che piega prenderà il negoziato tra Stati Uniti e Cina. Come ha spiegato Mario Draghi intervenendo a una conferenza a Francoforte la frenata dell’economia della zona euro è dovuta «alla pervasiva incertezza nell'economia globale che si è riversata sull'andamento della domanda esterna». La domanda interna per ora ha tenuto. La Bce ritiene più probabile un ulteriore rallentamento piuttosto che una ripresa però il suo presidente contiene l’allarme: Draghi parla di una «fase di debolezza» – tecnicamente due trimestri di rallentamento – della zona euro come ce ne sono state altre 50 dal 1970 ad oggi, l’ultima volta nel 2016. Tra debolezza e recessione c’è una bella differenza, la Bce comunque ribadisce di avere sempre gli strumenti per intervenire se necessario.

La situazione dell’Italia purtroppo si conferma più delicata di quella dell’Europa in generale. Questo per le «evidenti vulnerabilità» – a partire dall’elevato debito pubblico e dalla scarsa produttività – ricordate lunedì da David Lipton, vice direttore generale del Fondo monetario internazionale. Nella sua previsione, il Csc ricorda che la distanza tra il nostro ritmo di crescita e quello della zona euro si era ridotta a un solo punto percentuale tra il 2016 e il 2017 ma è tornata a crescere lo scorso anno e quest’anno potrebbe raggiungere gli 1,5 punti: crescita zero noi, +1,5% la zona euro (se si esclude l’Italia).

Giovanni Tria è in Cina, per partecipare a un forum economico sull’isola di Bo’ao. Lì ha spiegato di temere che il rallentamento globale provochi una crisi finanziaria. Occorre «puntare tutto sulla crescita» ha fatto scrivere il ministro nel titolo del comunicato stampa. Il problema è che l’Italia ha poche risorse da puntare: il Csc prevede che le principali misure della manovra 2019, Quota 100 e il reddito di cittadinanza, daranno al Pil una spinta «modesta rispetto al costo di spread e alla fiducia». Scegliendo di finanziarle in deficit e sfruttando le clausole di garanzia (un aumento dell’Iva di 3 punti) per sterilizzarne gli effetti sul bilancio 2020, il governo ha «sostanzialmente ipotecato i conti pubblici» nota il Csc.

Sulla scia di queste cattive notizie, gli investitori hanno accelerato le vendite di titoli del Tesoro. Il tasso dei Btp a 10 anni è salito dal 2,45 al 2,54%. Nella zona euro solo gli interessi dei titoli italiani e greci sono in aumento. Gli altri, a partire dai Bund tedeschi tornati a pagare interessi negativi, sono tutti in calo: l’incertezza spinge il denaro lontano dalle azioni verso titoli più “sicuri”, ma quelli di Roma e Atene, evidentemente, non sono tra i più desiderati.



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