venerdì 27 ottobre 2017
Da Chrysler ad Air Canada: gestire le aziende non è quello che i nuovi candidati per la ex compagnia di bandiera sanno fare meglio. Farle a pezzi per vendere quello che ha valore gli riesce meglio
L'origami di un Cerbero, il cane a tre teste che nella mitologia greca aveva l'incarico di evitare che i morti lasciassero gli inferi (Hugo Akitaya, https://flic.kr/p/7spbj8)

L'origami di un Cerbero, il cane a tre teste che nella mitologia greca aveva l'incarico di evitare che i morti lasciassero gli inferi (Hugo Akitaya, https://flic.kr/p/7spbj8)

COMMENTA E CONDIVIDI

Non ci sono preclusioni all’offerta di Cerberus per Alitalia, ha assicurato Stefano Paleari, uno dei tre commissari che amministrano la ex compagnia di bandiera a cui lo Stato ha prestato, negli ultimi sei mesi, 900 milioni di euro per farla andare avanti nell’attesa che qualcuno se la compri. Se davvero si vuole un nuovo socio con «una visione di lungo periodo» qualche preclusione invece sarebbe meglio averla: il fondo newyorchese che ha preso il nome dal mitologico cane a tre teste di guardia agli inferi non ha certo il pedigree di eroico salvatore di compagnie in difficoltà. Piuttosto, coerente con l’incarico che nella leggenda Ade aveva dato al mostruoso quadrupede, Cerberus è abituato a evitare che le aziende in bancarotta escano dagli inferi economici in cui si trovano. Quello che il fondo sa fare meglio nella sua attività di private equity è piuttosto “valorizzare” le società: individuare quello che hanno di prezioso e venderlo, così da andare all’incasso senza dovere perdere tempo con la gestione dell’azienda.

Chrysler, accompagnata alla bancarotta

L’esperienza di Cerberus con Chrysler, che rappresenta ad oggi il più grosso investimento industriale della storia del fondo, ne è un ottimo esempio. Nel 2007 Cerberus ha radunato un gruppo di investitori per rilevare la casa automobilistica di Detroit che Daimler, dopo un decennio americano avaro di successi e ricco di bilanci in perdita, voleva cedere. Il fondo ha messo assieme 7,4 miliardi di dollari e ha preso una quota dell’80% praticamente gratis: 6 miliardi sono andati ad aumentare il capitale della casa automobilistica e Daimler, rimasta socia con un 20%, pur di trovare una via d’uscita, ha accettato di usare gli 1,4 miliardi che gli spettavavano per coprire le perdite del bilancio.

Il maggio di dieci anni fa non era il momento giusto per comprare una grande casa automobilistica americana e rilanciarla. Già si avvertivano i primi scricchiolii finanziari che avrebbero portato prima alla crisi dei subprime e poi alla Grande Recessione. Di sicuro Cerberus non ha fatto molto per rianimare Chrysler: Bob Nardelli, il manager che il fondo ha messo alla guida dell’azienda, si è limitato ad arrangiare qualche restyling degli interni delle auto e, soprattutto, a tagliare il personale: 12mila esuberi, oltre ai 13mila già decisi dal piano lasciato in eredità da Daimler. Nemmeno un nuovo modello, nulla che potesse salvare un’azienda che stava annegando nei debiti.

«Non abbiamo bisogno che l'azienda migliori». Parola del Ceo.

Si sa com’è finita: nel 2009, nemmeno due anni dopo l’arrivo del fondo, Chrysler è finita in bancarotta e alla fine a salvarla, con pochi soldi e molto talento, è stata la Fiat di Sergio Marchionne. Sarebbe stato un incredibile fallimento per Cerberus, se il fondo non se la fosse cavata “valorizzando” la parte dell’azienda meno visibile, quella che si occupava dei finanziamenti per gli acquisti delle auto. Restituite le fabbriche al governo, Cerberus si è tenuto la divisione prestiti e nel 2010 l’ha venduta alla banca canadese Toronto-Dominion per 6,3 miliardi di dollari, recuperando una buona parte dell’investimento.

Se la Grande Crisi non fosse stata così pesante, probabilmente il fondo sarebbe riuscito a vendere Chrysler Financial incassando più di quanto avesse speso per l’intera azienda. C’è il sospetto che fosse proprio questo il piano iniziale di Stephen Feinberg, l’ex trader che nel 1992 ha fondato Cerberus assieme al socio William Richter. Il New York Times raccontava di una telefonata di Feinberg a Steven Shafran, il negoziatore governativo per gli aiuti all’industria dell’auto, in cui il Ceo di Cerberus già nel 2008 proponeva di regalare la compagnia automobilistica al governo, tenendosi solo la parte finanziaria. «Per avere successo non abbiamo bisogno di gestire la transizione dell’industria dell’auto o di rimettere Chrysler in una migliore posizione nel mercato auto americano» spiegava Feinberg agli investitori via email dopo nemmeno un anno dall’acquisto della quota di maggioranza dell’azienda.

Air Canada, quando il piano "millemiglia" vale più della compagnia

È andata poco meglio con Air Canada, altra operazione emblematica della strategia di Cerberus. La ex compagnia di bandiera canadese nel 2004 è finita in bancarotta e il controllo è passato a un consorzio di creditori, chiamato Ace Aviation Holdings e capitanato dai tedeschi di Deutsche Bank. Cerberus si è presentato come partner dei creditori per gestire la transizione, investendo 250 milioni di dollari per una quota di meno del 10%. Quindi si è messo all’opera in quello che sa fare meglio: trovare ciò che vale e venderlo per massimizzare i profitti.

Gli sono bastati pochi mesi per trovare un acquirente per Aeroplan, che era il piano “millemiglia” dei canadesi, e incassare 250 milioni di dollari in un momento in cui l’intera Air Canada era valutata 241 milioni. Lo spezzatino è andato avanti con successo, tanto che tra il 2006 e il 2007 gli azionisti di Ace Aviation si sono potuti distribuire 2,25 miliardi di profitti ottenuti con le cessioni. Una distribuzione di utili che i piloti definirono «senza precedenti, eccessiva e foriera di rischi di una nuova bancarotta».

Uno spezzatino da 5 miliardi

Avevano la vista lunga, quei piloti. Nel 2008, vittima del rialzo dei prezzi del carburante, Air Canada chiudeva il bilancio con 800 milioni di dollari. Nel giugno 2009 è tornata a chiedere soccorso, ottenendo un prestito da da 1 miliardo di dollari canadesi dal governo e soggetti privati, compresa la stessa Ace Aviation. «Ogni dipendente di Air Canada sa nel suo intimo che Ace ha svuotato Air Canada dai suoi profitti, anche se il prezzo era la sopravvivenza dell’azienda» spiegava il rappresentante dei piloti nel giorno in cui alla guida della compagnia di nuovo sull’orlo della bancarotta tornava un nuovo manager, Calin Rovinescu.

Ace Aviation è stata liquidata nel 2012, dopo avere venduto tutte le sue azioni di Air Canada per un incasso di 200 milioni complessivi. I soci della holding sono stati capaci di “estrarre” dall’azienda presa dalla bancarotta ben 5 miliardi di dollari in otto anni, e se li sono distribuiti. Un caso da manuale di come i diversi pezzi di una società, se ben “valorizzati”, possano valere molto di più dell’azienda tutta intera. La scuola di management di Yale difatti ha dedicato uno studio all’esperienza di Ace Aviation. Una ricerca che non piacerà a chi spera che, vendendola a Cerberus tutta intera, il governo salverà Alitalia dallo spezzatino. Il titolo è “Air Canada: Vendere l’azienda a fette”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI