martedì 5 dicembre 2017
Soltanto i ventenni danesi si ritireranno più a lungo dei nostri connazionali. Già oggi l'età di pensionamento italiana è più alta della media dei paesi sviluppati. Un consiglio: limitate la spesa.
Un momento della manifestazione organizzata dalla Cgil il 2 dicembre contro l'esito del confronto con il governo sulla previdenza (Ansa, Massimo Percossi)

Un momento della manifestazione organizzata dalla Cgil il 2 dicembre contro l'esito del confronto con il governo sulla previdenza (Ansa, Massimo Percossi)

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Secondo le previsioni dell'Ocse per gli italiani nati nel 1996 l'età normale di pensionamento sarà a 71,2 anni. Dovranno cioè aspettare il 2067 per ritirarsi dal lavoro. Soltanto la Danimarca, tra i trentacinque paesi dell'Ocse, va verso un'età di pensionamento così elevata per i ventenni di oggi, mentre l'Olanda è l'unico altro paese in cui la pensione della classe 1996 arriverà dopo i 70 anni. Negli altri Paesi la pensione arriverà prima: nelle medie Ocse l'età media di pensione attesa per i nati del 1996 è di 65,8 anni per gli uomini e 65,5 anni per le donne.

Le stime dell'Ocse sono leggermente più elevate di quelle della Ragioneria dello Stato, che prevede per il 2065 un'età normale di pensionamento di 70 anni e 6 mesi.

C'è comunque un aumento significativo rispetto ai pensionati di quesi anni. Nel 2016, ricorda l'organizzazione internazionale, in media in Italia gli uomini sono andati in pensione a 66,6 anni, le donne a 65,6. Sono età già più elevate della media Ocse, dove chi è andato in pensione lo scorso anno si è ritirato a 64,3 anni per gli uomini e 63,7 anni per le donne. Dal 2019, com'è noto, scatterà l'aumento per l'adeguamento all'aspettativa di vita, che porterà l'età per la pensione di vecchiaia a 67 anni per uomoni e donne, con l'esclusione di chi svolge lavori usuranti.

Certo, c'è una piccola consolazione per i nostri ventenni: dal momento che dovranno lavorare più a lungo dei coetanei degli altri paesi dell'Ocse le loro pensioni saranno più alte, rispetto ai redditi: il rapporto tra assegno e stipendio è previsto all'83% contro una media ocse del 53%.

Davanti alla situazione lavorativa dei giovani italiani di oggi, però, l'Ocse non può che ribadire il suo allarme: "I giovani con carriere discontinue o che non lavorano andranno verso un elevato rischio di un'anzianità da poveri". Secondo l'Ocse "oggi la sfida per l'Italia è sia limitare la spesa pensionistica nel breve e nel medio termine e affrontare i problemi di adeguatezza degli assegni per i pensionati futuri. Aumentare l'età di effettivo pensionamento dovrebbe continuare ad essere la priorità per assicurare assegni adeguati senza minacciare la stabilità finanziaria. Questo significa concentrarsi sull'aumento del tasso di occupazione, soprattutto tra i gruppi sociali più vulnerabili. Un mercato del lavoro più inclusivo ridurrà anche il futuro tasso di utilizzo degli aiuti per gli anziani".


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