sabato 20 gennaio 2018
L’82% della maggior ricchezza globale è andato all’1% più ricco della popolazione. Nel mondo 1,4 miliardi di lavoratori precari. L'Ong chiede ai governi di muoversi, iniziando dal fisco
L'addetta di una fabbrica tessile in Vietnam, paese in cui le condizioni di lavoro sono molto difficili (Foto Ilo, https://flic.kr/p/BSap2L)

L'addetta di una fabbrica tessile in Vietnam, paese in cui le condizioni di lavoro sono molto difficili (Foto Ilo, https://flic.kr/p/BSap2L)

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Lan è una giovane madre vietnamita. Fa l’operaia in un’impresa di abbigliamento, una delle tante presenti nel suo Paese. E confessa un dettaglio chiave della sua grama esistenza: «Io lavoro su 1.200 paia di scarpe al giorno. Ma il mio stipendio è troppo basso per poterne comprare un paio per mio figlio».

La storia si ripete. Ancora un anno è passato senza ridurre le disuguaglianze che affliggono il pianeta, date anzi in crescita. Pochi dati le sintetizzano efficacemente: l’82% dell’aumento di ricchezza netta registratosi tra marzo 2016 e marzo 2017 è andato all’1% più ricco della popolazione globale del mondo, mentre per i 3,7 miliardi di persone più povere non è cambiato nulla. È un mondo sempre più precario: si stima che siano 1,4 miliardi le persone impiegate in lavori precari, oltre il 40% degli occupati totali. E con un terzo del volume dei dividendi versati nel 2016 agli azionisti dei 5 principali marchi mondiali dell’abbigliamento - pari a 2,2 miliardi di dollari - sarebbe possibile garantire un salario dignitoso a 2,5 milioni di lavoratori vietnamiti del ramo. Un tema a cui anche l’Italia non è immune: il Belpaese occupava la ventesima posizione (nel 2016) sui 28 Paesi Ue per la disuguaglianza di reddito disponibile.

A passare al setaccio le disuguaglianze, alla vigilia del meeting del Forum economico mondiale di Davos, è l’annuale rapporto di Oxfam, nota organizzazione britannica non governativa, che quest’anno si concentra sul tema del lavoro. Il tema è infatti "Ricompensare il lavoro, non la ricchezza".

Le donne più penalizzate

Divari che si fanno ancor più drammatici quando si parla delle condizioni delle donne lavoratrici. In tutto il mondo guadagnano meno degli uomini, in media ben il 23% in meno, e la disparità tra top manager e lavoratrici ha raggiunto livelli estremi: in 4 giorni, l’amministratore delegato di uno dei 5 più grandi marchi della moda può guadagnare quello che un’operaia della filiera dell’abbigliamento in Bangladesh guadagna in una vita intera.

«In ogni parte del mondo abbiamo raccolto testimonianze di donne oppresse – dice Maurizia Iachino, presidente di Oxfam Italia –. In Vietnam le lavoratrici dell’abbigliamento non vedono i loro figli per mesi, perché non possono tornare a casa per colpa delle lunghissime giornate lavorative e delle paghe da fame». Ma ogni latitudine ha i suoi problemi: «Negli Stati Uniti – prosegue Iachino – abbiamo scoperto casi di lavoratrici dell’industria del pollame alle quali non era consentito di andare in bagno ed era imposto di indossare pannolini. Sia in Canada sia in Repubblica Dominicana, molte donne al lavoro negli alberghi di lusso ci hanno raccontato di aver deciso di non denunciare le molestie sessuali di cui sono vittime per paura di perdere il lavoro».

Le dimensioni di un fenomeno

Il rapporto diffuso oggi rivela come il sistema economico attuale consenta solo a una ristretta élite di accumulare enormi fortune.
Nell’ultimo anno, c’è stato il più rapido aumento di sempre del numero di miliardari: 1 nuovo ogni due giorni. Su scala globale, tra il 2006 e il 2015 la ricchezza a nove zeri è cresciuta del 13% all’anno, 6 volte più velocemente dell’incremento annuo salariale (pari ad appena il 2% in media) dei comuni lavoratori. Anche negli Usa dell’era Trump si calcola che un amministratore delegato possa percepire in poco più di 1 giorno una cifra pari al reddito medio che un suo lavoratore percepisce in un anno.

Le cause della disuguaglianza

Tra le ragioni principali Oxfam (i cui calcoli si basano come sempre sui dati della ricchezza globale del Credit Suisse Global Wealth Databook 2017) indica, oltre ai noti processi di "esternalizzazione" delle produzioni e alla massimizzazione "a ogni costo" degli utili d’impresa, anche le ragioni politiche, condizionate dall’influenza esercitata da portatori di interessi privati. «Difficile trovare oggi un esponente del mondo politico o economico che non sia preoccupato per la disuguaglianza, ma ancora più difficile è trovarne uno che stia agendo concretamente per porvi rimedio – sottolinea Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia –. Al contrario, osserviamo l’adozione di provvedimenti irresponsabili, come il taglio delle tasse ai più facoltosi o la rottamazione dei diritti in materia di lavoro».

Le conseguenze sono devastanti: basti pensare che oggi il 94% degli occupati nei processi produttivi delle 50 big company, le maggiori compagnie mondiali, è costituito da 116 milioni di persone "invisibili", impiegate in lavori definiti ad "alta vulnerabilità" senza avere adeguate protezioni. E questo avviene per una ragione semplice: «Le persone che confezionano i nostri abiti, assemblano i nostri cellulari, coltivano il cibo che mangiamo, vengono sfruttate per assicurare la produzione costante di un gran volume di merci a poco prezzo e aumentare così i profitti di corporation ed investitori», ricorda Iachino.

Disuguitalia 2018

La situazione è seria anche in Italia. A metà 2017 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, il successivo 20% ne controllava il 18,8%, lasciando al 60% più povero appena il 14,8% della ricchezza nazionale. La quota di ricchezza dell’1% più ricco degli italiani superava di 240 volte quella detenuta nel complesso dal 20% più povero della popolazione. Nel periodo 2006-2016 la quota di reddito nazionale lordo in mano al 10% più povero degli italiani è diminuita del 28%.

Le proposte di Oxfam

Oxfam Italia chiede allora, in una lettera inviata oggi ai principali leader nazionali, di adottare misure atte a costruire opportunità di lavoro meglio tutelato. Tra le proposte, figurano una maggior progressività del sistema fiscale (quindi, implicitamente, una secca bocciatura della flat tax), la fissazione di un tetto agli stipendi dei top manager così che il divario retributivo non superi il rapporto 20:1, una maggior protezione dei diritti dei lavoratori e un aumento della spesa pubblica per servizi come sanità, istruzione e sicurezza sociale a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione.

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