giovedì 13 maggio 2021
L'economia italiana è in una stagnazione permanente interrotta da periodiche crisi. Rilanciare la crescita di un Paese fermo da 30 anni resta la principale missione del governo guidato da Mario Draghi
Mario Draghi in Parlamento il 12 maggio del 2021

Mario Draghi in Parlamento il 12 maggio del 2021 - Ansa

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La Commissione europea è troppo generosa quando dice che «le economie di tutti gli Stati membri dovrebbero tornare ai livelli pre-crisi entro la fine del 2022». Se le previsioni economiche di primavera saranno rispettate la larga maggioranza delle nazionidell’Unione europea chiuderà il 2022 con un Prodotto interno lordo superiore ai livelli del 2019. Non tutte però. L’Italia, ad esempio, non ci riuscirà.

Lo dicono gli stessi numeri di Bruxelles. Il Pil italiano nel 2020 è scivolato dell’8,9% e crescerà del 4,2% quest’anno e del 4,4% nel prossimo. Significa che alla fine del 2022 la nostra economia sarà ancora di quasi un punto percentuale più piccola rispetto al 2019: precisamente sarà di 0,9 punti percentuali sotto ai livelli pre-Covid. Un punto di Pil non è poco per un Paese che, dicono ancora la
tabelle europee, tra il 2001 e il 2016 è riuscito a “crescere” a una media annua dello 0,1%.


Concentrarsi sui numeri della crescita del Pil anno per anno rischia di far dimenticare il famoso “quadro generale”. Se guardiamo quello che è successo negli ultimi vent’anni all’economia italiana non possiamo che constatare che il Paese è in uno stato di stagnazione permanente interrotto ogni tanto da una recessione. Se il modello americano di crescita economica è il “boom and bust” – dove lunghi periodi di forte espansione si interrompono con crisi profonde ma di breve durata – per l’Italia il modello sembra quello del “stay and bust”, cioè cicli di sostanziale immobilità seguiti da una crisi.



L’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea, assieme alla Grecia,
che non è mai riuscito a recuperare il Pil del 2008,
quello precedente alla crisi finanziaria globale.


L’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea, assieme alla Grecia, che non è mai riuscito a recuperare il Pil del 2008, quello precedente alla crisi finanziaria globale. Nel 2019 il Pil italiano, al netto dell’inflazione, era ancora del 3% inferiore a quello del 2008. Mentre l’Italia arrancava, il resto dell’Europa (Grecia esclusa) camminava. I Pil dell’Ue e della zona euro erano di oltre il 12% superiori a quelli precedente alla crisi, quello della Germania era sopra del 14%, quello della Francia dell’11,%, quello della Spagna del 6,9%. Il debito pubblico che ci ritroviamo, a ridosso del 160% del Pil, è enorme anche perché cresce ma è parametrato su un Prodotto interno lordo immobile.

Se riuscirà a rispettare le previsioni dell’Ue, alla fine del 2022 il Pil dell’Italia sarà ancora sotto del 4,9% rispetto a quello dell’ormai lontano 2008. È chiaro che resta questa la principale sfida economicadel governo Draghi: creare le condizioni perché l’Italia possa tornare a crescere, non a un ritmo straordinario, ma semplicemente al passo delle altre grandi economie della zona euro. Per riuscirci serve una ripresa degli investimenti, che tra il 2001 e il 2016 sono diminuiti dell’1%all’anno, rappresentando la più pesante zavorra sul Pil. Le risorse del Next Generation EU, in questo senso, sono davvero l’ultima chance per rianimare l’economia nazionale.


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