giovedì 15 febbraio 2018
Il 2017 è stato un buon anno per l’economia italiana: l’Istat lo ha confermato. Il tasso di crescita del Prodotto interno lordo si colloca intorno all’1,5%, molto simile al tasso di crescita
Livello da anni Novanta, il Pil pro-capite però non viaggia allo stesso ritmo
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Il 2017 è stato un buon anno per l’economia italiana: l’Istat lo ha confermato. Il tasso di crescita del Prodotto interno lordo si colloca intorno all’1,5%, molto simile al tasso di crescita medio del Pil italiano negli anni Novanta (1,7%). Nello stesso periodo, la Francia e la Germania, tanto per citare le due economie più importanti dell’area Euro, sono cresciute a ritmi ben superiori. Quali riflessioni si possono trarre sulla crescita italiana?

È possibile sottolineare tre differenti aspetti. In primo luogo, un Pil in crescita significa che tutti stanno meglio e che la crisi del 2008-2013 sia definitivamente superata? La risposta è negativa per almeno due motivi: anzitutto il Prodotto interno lordo italiano, pur essendo cresciuto nel 2017, è ancora distante dal livello raggiunto nel secondo trimestre del 2007. Se consideriamo che nel frattempo la popolazione è cresciuta, ovvero teniamo conto del Pil pro capite, la distanza è ancora maggiore. In secondo luogo, il Pil misura il valore dei beni e servizi finali, ma non indica come questo valore si distribuisca tra la popolazione.

In altre parole, l’aumento del Pil non implica un’equa distribuzione della maggior ricchezza generata. In Italia convivono aree dove è manifesta la ripresa economica ed aree ancora attraversate dalla crisi. Occorrono politiche economiche adeguate che per- mettano di distribuire gli effetti della maggior crescita in tutte le aree del Paese. In secondo luogo, il Pil italiano cresce meno di quello degli altri Paesi europei, per quale motivo? La ragione va ricercata nella forte diminuzione della spesa per investimenti durante gli anni della crisi: il Pil cresce quando si investe. Se non si fanno investimenti in nuovi macchinari, in infrastrutture ed in capitale umano, la produttività dei fattori produttivi non aumenta.

E senza produttività non si genera nuova ricchezza. La buona notizia del 2017 è che anche grazie agli incentivi fiscali, la spesa per investimenti in Italia è tornata a crescere. In terzo luogo, quali conseguenze ha sul 2018 l’aumento del Pil? Le conseguenze sono molteplici, tuttavia, se ne possono sottolineare due. La prima: il sistema bancario italiano, grazie alla crescita, potrà migliorare la propria solidità e questo significa avere banche in grado di meglio finanziare la ripresa in atto. Nel 2018, poi, assisteremo a un rialzo dei tassi di interesse sui titoli di debito pubblico, come conseguenza della fine del quantitative easing della Banca centrale europea. Questo rialzo dei tassi significa, per le finanze pubbliche, un aumento della spesa per il servizio del debito.

Un Pil in aumento, che potrebbe essere accompagnato da un upgrade sul merito di credito da parte delle agenzie di rating, è una buona assicurazione per convincere gli operatori finanziari sulla capacità italiana di sostenere l’enorme debito pubblico e quindi poter richiedere nelle nuove emissioni di debito pubblico minori tassi di interesse.

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