martedì 27 febbraio 2018
Il libro del protavoce Enrico Giovannini indica nei giovani il motore del cambiamento necessario per tutelare il pianeta
Le nuove generazioni sono la risorsa per abbracciare l'utopia che ci salverà
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Cambiare paradigma, alla radice, facendo leva sulla risorsa più preziosa che ci sia, la forza flessibile e l’apertura mentale dei giovani. Per passare da una distopia che si sta drammaticamente avverando, quella tratteggiata nel 1972 dal Club di Roma in 'The Limits to Growth', a un’«utopia sostenibile». È il titolo, quest’ultimo, del libro (editore Laterza) in cui Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat e ministro del Lavoro, oggi portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile (ASviS), mette in fila l’impegno di una vita per un nuovo modello di sviluppo: «Sognare di cambiare il mondo è facile – spiega nella prefazione il 'papà' degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (Bes), parafrasando il celebre aforisma di Oscar Wilde sullo smettere di fumare –: lo faccio venti volte al giorno. E lo faccio fin da quando, studente al secondo anno del corso di Economia, lessi un libro che descriveva i rischi di un collasso del sistema umano intorno alla metà del 21° secolo e decisi di provare a di- ventare un economista per dare il mio contributo».

Muovendo i passi dal sentiero dell’insostenibilità, quello che ha caratterizzato gli ultimi due secoli dell’Antropocene – nel mondo, in Europa e anche nel nostro Paese visto tuttora, dalle lenti degli indicatori compositi ASviS, su questo vicolo cieco –, Giovannini ripercorre le tappe principali del nuovo modello di crescita. Fino all’adozione dell’Agenda 2030, il 25 settembre 2015, giorno in cui i capi di Stato e di governo dei 193 Paesi delle Nazioni Unite hanno riconosciuto la 'trappola' in cui l’umanità si è infilata, sottoscrivendo un Patto per salvarla. In quello stesso anno, a maggio, papa Francesco pubblicava l’Enciclica Laudato Si’ e, a dicembre, oltre 190 Paesi firmavano l’Accordo di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici. Tre segnali precisi per invertire la rotta e contrastare la 'Retrotopia', come Zygmut Bauman ha ribattezzato la tendenza, di fronte all’incertezza del futuro, a sognare il ritorno a una mitologica età dell’oro.

Una spinta per cambiare rotta e scegliere di provare a realizzare l’utopia sostenibile, secondo Giovannini, viene dal cambiamento che, in modo ancora poco visibile per il pubblico e per gran parte dei politici, «sta avvenendo in tante persone, soprattutto nei più giovani, in tante imprese, in tanti governi, che vedono nella conversione dell’attuale modello di produzione, di consumo e di organizzazione della società una straordinaria opportunità, anzi l’unica opportunità da cogliere» per evitare lo choc prossimo venturo. E migliorare le prospettive. A livello teorico e strategico, tre gli ambiti su cui puntare: tecnologia, governance e cambiamento di mentalità. Rispetto alla tecnologia, poiché non disponiamo ancora di soluzioni radicali, sarebbe opportuno «guadagnare tempo», riducendo al minimo i danni grazie all’utilizzo delle attuali tecnologie. Per quel che riguarda la governance, invece, è indispensabile la volontà politica ed è necessario compiere scelte lungimiranti adottando politiche di lungo periodo. Da qui la proposta di una «legislatura dello sviluppo sostenibile», caratterizzato da misure volte a «prevenire, preparare, proteggere, promuovere e trasformare (4P + T) il Sistema Italia».

Infine, il cambiamento di mentalità, il problema più complesso, inteso come trasformazione della cultura e di modelli con cui si interpreta la realtà. In questo senso andare oltre il Pil, ad esempio con gli indicatori Bes, è già un passo nella direzione giusta verso uno «Spazio operativo e sicuro», come ha definito Kate Raworth il modello di sviluppo in cui il benessere umano dipende, oltre che dal mantenimento dell’uso delle risorse in un buono stato naturale complessivo, anche dal soddisfacimento delle esigenze del genere umano per condurre una vita dignitosa e con le giuste opportunità. Solo così, del resto, è possibile rispondere alla provocatoria (come sempre) domanda di Groucho Marx: «Perché dovrebbe importarmi delle generazioni future? Cosa hanno fatto loro per me?».

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