giovedì 1 dicembre 2022
L’Oil-Organizzazione internazionale del lavoro stima che in Italia il settore potrebbe generare, se supportato da politiche economiche e sociali, circa 1,4 milioni di nuovi posti
Un badante a passeggio con un anziano

Un badante a passeggio con un anziano - Fotogramma

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Nei periodi di crisi, il lavoro domestico e cura della persona resta una colonna portante dell'economia italiana. L’Oil-Organizzazione internazionale del lavoro stima che il settore potrebbe generare, se supportato da politiche economiche e sociali, circa 1,4 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030. Ciononostante, il contributo del lavoro domestico al benessere collettivo è spesso sottovalutato sia riguardo la natura specifica del datore di lavoro che — nella stragrande maggioranza dei casi è un individuo o un membro dalla famiglia — sia in relazione alle competenze e la responsabilità che esso richiede. Nel complesso sono oltre due milioni le persone che lavorano come colf, badanti o assistenti familiari. Secondo i dati Inps (relativi al 2020) rielaborati da Domina nel Terzo Rapporto annuale sul lavoro domestico, i lavoratori domestici regolari sono stati oltre 920mila, con un aumento del 7,5% rispetto all’anno precedente. Tra questi, vi è una netta prevalenza di donne (87,6%) e una forte presenza straniera, pari al 68,8% del totale, proveniente per lo più dall’Est Europa. Il comparto rimane quello con la maggior presenza di lavoro nero. I dati evidenziano infatti un tasso di irregolarità pari al 57%, ben al di sopra rispetto alla media dei principali settori produttivi. Nonostante oggi il comparto sia molto più tutelato di un tempo (innanzitutto grazie al Ccnl), i cambiamenti sociali ed economici continuano a porre nuove sfide. Un esempio, di cui si fa cenno nel Rapporto, è dato dalle piattaforme digitali che entrano piano piano anche nel mondo del lavoro domestico. Questo fenomeno, al pari di altri processi sociali, è stato accelerato notevolmente dagli effetti della pandemia. Secondo il rapporto Welfare Italia, supportato da Unipol con la collaborazione di The European House-Ambrosetti, con il nostro Paese che registra i primati della denatalità e della popolazione più anziana, dietro solo alla Finlandia, nel 2035 ci saranno 2,5 milioni di persone in meno rispetto al 2020, e nel 2050 la popolazione italiana potrebbe attestarsi a 52,3 milioni di persone - 6,7 milioni in meno del 2020 - con un'incidenza degli over-65 pari al 37% del totale. La diminuzione della base lavorativa e l'aumento della popolazione anziana metteranno ancor di più sotto pressione il sistema di welfare del Paese. Nel 2035 il numero di pensionati supererà per la prima volta quello degli occupati, mentre per essere in equilibrio dovrebbero esserci tre lavoratori ogni due pensionati. Come invertire la tendenza? Welfare, Italia pone l'accento sull'occupazione femminile: a oggi l'Italia è penultima nell'Unione Europea per tasso di occupazione femminile e prima per tasso di part-time involontario. Tra le altre cose, suggerisce il rafforzamento strutturale degli strumenti di sostegno alle famiglie e alla natalità, la trasformazione dei congedi di maternità e paternità in «congedi gender neutral», e poi corsi di formazione per l'up-skilling o il re-skilling. La ministra per la Famiglia Eugenia Roccella ha parlato della necessità di ricostruire una «rete per sostenere maternità», da accompagnare alle misure fiscali («la famiglia dal punto di vista fiscale è sempre stato trattata molto male»). Ha anticipato l'intenzione di predisporre «un piano strategico per la natalità coinvolgendo la Sanità, il Lavoro e gli altri ministeri che di volta in volta saranno toccati», per «mettere al centro» quello che ha definito un «inferno demografico, visto che questo non è più un inverno demografico e che sono gli ultimi anni in cui si può fare qualcosa».

Lavoratori in azienda, spesso caregiver a casa

I dati stimano che nelle aziende, oltre il 70% delle persone sono caregiver, cioè si prendono cura di una o più persone care: un familiare, un figlio, un compagno. I dati dell'Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed evidenziano che solo l'8% delle persone si identifica in questo ruolo (9% donne vs 7% uomini). Poca consapevolezza o stigma? Poche persone comunicano sul luogo di lavoro di essere caregiver per paura che ciò possa influire negativamente sulla propria carriera. Tra coloro che lo dichiarano, il 54% ammette di aver visto svanire l’assegnazione di compiti sfidanti, il 50% ha dichiarato di aver visto invece diminuire le possibilità di crescita salariale e di premi e il 46% di aver intrapreso un percorso di carriera insoddisfacente. Nella maggior parte dei casi però le persone non sono consapevoli del ruolo di cura che ricoprono e di come questo possa essere valorizzato in termini di competenze in azienda. Ciò determina sempre più spesso che non esprimono i loro bisogni e non sanno di poter accedere ai servizi di welfare. Le aziende si ritrovano nella situazione paradossale per cui molti dei servizi di welfare messi a disposizione non vengono fruiti dai lavoratori. Tuttavia per assistere un proprio familiare anziano o non autosufficiente, il 58,5% delle famiglie non esita a scartare il ricorso a una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale), preferendo l’assunzione di una badante. Solo il 41,5% delle famiglie prende in considerazione la scelta di una Rsa: di queste, il 21,3% si rivolgerebbe a una struttura convenzionata, il 14,2% a una privata, il restante 6,0% a una pubblica. Le donne mostrano l’orientamento più marcato a evitare una Rsa (il 60,1% rispetto al 56,1% degli uomini). Anche gli stessi anziani sono scettici sul ricorso a una Rsa: dal 50,8% di chi ha un’età inferiore ai 55 anni si passa al 52,9% di chi ha un’età compresa tra 55 e 64 anni, per salire al 69,5% degli over 64. È quanto emerge dal report Le famiglie, il lavoro domestico, i caregiver, le Rsa, realizzato dal Censis per Assindatcolf, l’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico. Inoltre il 53,4% delle famiglie considera prioritario alleviare la fatica che grava sui caregiver attraverso l’intervento di personale esterno. Tra le soluzioni da adottare a favore dei caregiver viene indicato il riconoscimento di forme di reddito che possano almeno in parte ricompensare il ruolo sostitutivo svolto a causa della mancanza di strumenti di welfare adeguati per l’assistenza di persone anziane o non autosufficienti (25,5%). A seguire, si auspica la possibilità per il caregiver di lavorare da casa (9,0%), mentre per il 6,7% servirebbe l’assicurazione contro gli infortuni domestici e la possibilità di poter accedere a una pensione sulla base di contributi figurativi. Infine, per il 5,4% sarebbero utili percorsi formativi per qualificare l’assistenza offerta al familiare.

Epicura, le opportunità passano dalla formazione

Crescita, contaminazione e formazione. Sono queste le parole d’ordine di epiCura, la scale up innovativa nata con il preciso obiettivo di semplificare e innovare il settore della cura alla persona, che ha inaugurato il nuovo headquarter torinese in via Mercantini 5. L’ azienda, che è alla costante ricerca di figure da inserire all’interno del proprio network di professionisti, rappresenta una concreta opportunità di impiego. In Piemonte sono già oltre 6mila le badanti nel network epiCura tramite il quale, solo nel corso dell’ultimo anno, sono state erogate ben 550mila ore di assistenza. I nuovi uffici, con una superficie di 550 metri quadrati distribuiti su due livelli, sono pensati per promuovere collaborazione e contaminazione tra le diverse funzioni del team, che oggi conta già 60 giovani talenti (oltre i 15 nella sede di Milano) con un’età media di circa 33 anni, e per accogliere i futuri ingressi. Nei prossimi mesi è previsto, infatti, il raddoppio delle risorse, in linea con l’attuale trend di crescita che vede circa un nuovo ingresso a settimana. Centrale, in questa fase di crescita, anche la formazione continua. All’interno di un vero e proprio teatro prenderanno vita numerose iniziative: talk, workshop, seminari e corsi di aggiornamento tenuti da innovatori ed esperti del settore.


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