domenica 16 dicembre 2018
Le catene erano già in difficoltà tra e-commerce e Black Friday. il rinvio del cambio di stagione ha fatto il resto. Ovs in Borsa ha perso l'85% da inizio anno. Stefanel ha chiesto il concordato
La vetrina del negozio Stefanel in Galleria, a Milano

La vetrina del negozio Stefanel in Galleria, a Milano

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Per molti italiani le calde giornate di novembre sono state una bella sorpresa, un piacevole passaggio dall’estate all’autunno. Per chi vende vestiti è stato un periodaccio: se il freddo non arriva la gente rimanda il cambio di stagione, prende tempo per l’acquisto di maglioni, cappotti e piumini e le casse dei negozi piangono. Non vale per tutti, ma quasi. Anche Zalando, colosso tedesco delle vendite online, a settembre è stata costretta a lanciare un “profit warning”, cioè un avviso agli investitori di risultati peggiori del previsto, e se l’è presa con «la lunga e calda estate» e i suoi effetti sugli acquisti dei clienti.

Anche in Italia la lunga estate e il caldo inizio dell’autunno ha fatto male a grandi catene che avevano già i loro problemi. Giovedì Ovs, l’azienda che controlla anche Upim, ha presentato conti deludenti. Le vendite tra gennaio e ottobre si sono fermate a 1,073 miliardi di euro, l’1,4% in meno rispetto a un anno fa. È peggiorato il margine operativo, sceso da 138 a 104 milioni di euro, i debiti sono aumentati da 335 a 440 milioni e il flusso di cassa è migliorato, ma è rimasto in rosso: era stato negativo di 99,9 milioni un anno fa, è stato sotto di 46,4 milioni quest’anno.

Parte della colpa è proprio del caldo. «L’eccezionale clima caldo è proseguito fino alla terza settimana di novembre, penalizzando le vendite» hanno spiegato dall’azienda presentando i conti. Finito il caldo, è arrivata la frenesia del “Black Friday”, che ha spinto i clienti ad anticipare gli acquisti, soprattutto su Internet, e quindi ha ridotto le vendite dei negozi nei primi giorni di dicembre. A questo punto, spiega l’azienda, ci si aspetta che i consumatori attendano i saldi di gennaio per fare shopping. Insomma: anche l’ultima parte dell’anno non sarà positiva e qualche analista ha chiesto se a questo punto Ovs pensi di fare un aumento di capitale. L’amministratore delegato Stefano Beraldo ha detto che non ci sono ragioni di chiedere ai soci di contribuire. Pochi lo farebbero volentieri: il titolo Ovs da gennaio si è svalutato dell’85%. Valeva 5,55 euro a inizio anno, ora è a 84 centesimi. Solo nell’ultimo mese la quotazione si è dimezzata.

Va molto peggio alla Stefanel. Ai fondi Oxy e Attestor che hanno rilevato l’azienda un anno fa non è riuscito il rilancio. Stefanel da gennaio ha perso 21 milioni di euro, il patrimonio è sceso a 7,5 milioni, sotto il livello di guardia, e venerdì i manager hanno chiesto il concordato in bianco per proteggersi dai creditori. Per Stefanel è il secondo concordato in due anni. L’azienda deve 70 milioni alle banche, che hanno rinunciato ad altri 25 milioni di euro di crediti per agevolare il rilancio. Gli 89 dipendenti temono il peggio mentre i fornitori, ha scritto il Corriere del Veneto, iniziano a fermarsi temendo che le loro fatture restino insolute.

Gli altri due nomi storici dell’abbigliamento italiano sono in fase di rilancio. Luciano Benetton ha ripreso le redini della catena di famiglia, che controlla anche il marchio Sisley e nel 2017 ha perso 216 milioni di euro con vendite scese da 1 miliardo a 930 milioni. Mentre alla Coin una cordata italiana guidata dal manager Stefano Baraldo a marzo con 70 milioni di euro ha preso il controllo dall’azienda dal fondo Bc Partner, con l’obiettivo di fare salire i ricavi (400 milioni nel 2017) e la redditività (ora pressoché nulla).

Il contesto è quello che è. Per i consumi degli italiani è stata un’ottima annata, venerdì le stime dell’Osservatorio Findomestic hanno mostrato che per la prima volta la spesa ha superato i mille miliardi. Ma sono stati spesi per beni “durevoli”, come le automobili. La spesa per abbigliamento è invece in calo. L’indice dell’Istat della spesa al dettaglio per i primi dieci mesi dell’anno mostra una leggera crescita generale, ma per l’abbigliamento l’indice è in calo. La contrazione è ancora più sensibile per i negozi, dato che sempre più acquisti si spostano online.

Negli Stati Uniti, dove la trasformazione del mercato è in fase più avanzata, abbiamo assistito alle crisi di nomi storici dell’abbigliamento come Macy’s, Sears (in bancarotta da ottobre) e J.C. Penney (sull’orlo del fallimento). Tra i grandi nomi globali anche H&M o Abercrombie& Fitch sono in difficoltà. Soltanto Inditex, la catena più grande di tutte, che controlla i negozi Zara, Massimo Dutti, Pull & Bear, Stradivarius, Bershka e Oysho, continua a crescere malgrado tutto. Nei primi nove mesi ha aumentato il fatturato del 3%, a 18,4 miliardi di euro, l’utile netto è salito a 2,4 miliardi di euro. Il segreto, ha spiegato un manager del gruppo, è stato non farsi prendere dal panico, evitando di partecipare alla corsa agli sconti e alle promozioni in cui si sono cimentati i concorrenti dalla fine dell’estate.

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