martedì 5 novembre 2019
Salvatore Romeo, esperto di storia dell’industria e dell’ambiente: «Lo scudo penale è solo il casus belli. Il governo presenti una soluzione senza la multinazionale»
«La trattativa sarà lunga. Il governo presenti una soluzione»
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«Con la mossa di Arcelor Mittal si è aperta una trattativa che presumibilmente sarà lunga e complessa. Se il governo vuole incidere in questo braccio di ferro non ha alternative: dovrà presentarsi al tavolo con un 'piano B' sull’ex Ilva che non preveda la multinazionale, altrimenti sarà costretto a piegarsi alle condizioni poste dalla società». Salvatore Romeo, esperto di storia dell’industria e dell’ambiente, è nato a Taranto e ha seguito da vicino tutte le principali puntate della storia recente del colosso siderurgico italiano, tanto da aver appena scritto un volume in cui le ripercorre (L’acciaio in fumo – L’Ilva di Taranto dal 1945 a oggi – Donzelli editore). Per Romeo la decisione del gruppo internazionale «era ampiamente annunciata, altro che sorpresa».

Tutta colpa dell’eliminazione dello scudo penale?
Non direi. Quello del cosiddetto scudo penale è solo il casus belli, perché in realtà ci sono ragioni più profonde e strutturali alla base dell’annuncio dell’addio di Arcelor Mittal dal sito di Taranto.

E quali sono i motivi di fondo?

C’è una crisi della siderurgia di cui si deve necessariamente tenere conto ed è una sofferenza dovuta a diversi fattori. Ci sono elementi più contingenti, come i dazi alzati da Trump che hanno aumentato le esportazioni verso l’Europa danneggiando il mercato continentale, che si sommano a problemi di fondo irrisolti da anni come la sproporzione tra la capacità produttiva (eccessiva) rispetto alla domanda (carente). Anche in virtù di questo scenario Arcelor Mittal sostiene di non essere in grado di realizzare, nelle scadenze previste, gli interventi inseriti nel piano ambientale.

Arcelor Mittal però ha sottoscritto un accordo che ora non intende rispettare...

Arcelor Mittal fa l’azienda, nel giro di un anno la situazione è cambiata e quindi – dal suo punto di vista – si regola di conseguenza. Piuttosto il governo deve interrogarsi se sia stato (e sia ancora) opportuno o no lasciar gestire uno stabilimento come l’ex Ilva, su cui gravano interventi ambientali imprescindibili e non più rinviabili, a una multinazionale.

Quali sono le soluzioni possibili adesso?
La palla è nelle mani del governo. Bisogna valutare se si punta a rivedere il piano sottoscritto lo scorso anno con una versione 'rimpicciolita', oppure se si vuole scegliere una nuova soluzione, affidando lo stabilimento a un altro soggetto. Se il governo vuole garantirsi una posizione di forza de- ve avere le idee chiare. Anni fa proprio Arcelor Mittal e lo Stato francese ebbero un duro scontro per Florange, il sito situato nella regione del Grand Est della Francia, che venne risolto proprio perché l’Eliseo tenne il punto, mostrandosi pronto anche alla nazionalizzazione.

Per Ilva la nazionalizzazione è un’opzione?
La valutazione spetta al governo. Su Alitalia si sta profilando un intervento pubblico. Non è detto che la soluzione non si possa replicare.

Quali conseguenze avrebbe una chiusura dell’ex Ilva per un Sud che il rapporto Svimez uscito ieri segnala essere sempre più indietro rispetto al resto del Paese?

Sarebbe una bomba sociale di enormi proporzioni per Taranto, che è la terza città del Mezzogiorno continentale. È un rischio che tutti gli attori coinvolti devono tenere ben presente.


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