venerdì 20 novembre 2020
Il ricercatore cileno: è necessario modificare la nozione di sviluppo. Abbiamo elaborato due indici che tengono conto della capacità di sognare dei bambini e delle comunità
Ignacio Oliva, ricercatore cileno

Ignacio Oliva, ricercatore cileno

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Si può misurare la capacità di sognare? E la curiosità dei bimbi verso l’ambiente circostante? O il loro rapporto con la natura? La risposta di Ignacio Oliva, ingegnere di 30 anni, è sì. E negli ultimi mesi, insieme al resto del gruppo del villaggio tematico su “politica e felicità”, ha lavorato per dimostrarlo. Il risultato sono tre proposte concrete affinché «l’economia consenta la piena realizzazione dell’essere umano. Questo è il vero significato della felicità», racconta il ricercatore dell’Istituto per lo sviluppo sostenibile dell’Università Cattolica del Cile.

L’idea, dunque, è quella di mettere l’economia al servizio della felicità, partendo dall’elaborazione di un indice in grado di misurare il grado di realizzazione dei bambini e delle comunità. «Abbiamo creato due indicatori ad hoc che vanno oltre, pur considerandoli, i criteri più tradizionali, come quello della sicurezza alimentare e dell’accesso alle cure. Per i più piccoli, valutiamo, ad esempio, il grado di percezione della bellezza, il rapporto con la natura, la capacità di immaginazione», spiega.

La «mappa inclusiva delle comunità che si realizzano», invece, evidenzia quali barriere, nelle diverse città, ostacolano il processo. E quali risorse lo favoriscono, dai paesaggi sonori, alla diffusione di aree verdi e beni comuni.

«Tutto questo ha un impatto diretto sull’economia. Le persone realizzate hanno una migliore salute fisica e mentale nonché meno propensione al crimine. Con un risparmio considerevole per i governi», sottolinea Oliva.

Allora perché tanta ostinazione nel restare ancorati alla prospettiva tradizionale? «Perché questa rappresenta una sfida alla nozione abituale di sviluppo. Un concetto solo materiale è facile da misurare. La realizzazione personale e comunitaria implica una sfida a trovare nuovi modelli. I giovani economisti hanno il dovere di coglierla. Si tratta di una scommessa difficile ma non impossibile. I modi ci sono. Si può, ad esempio, prendere in considerazione il tempo che le persone trascorrono in famiglia, la quota di individui soli, il numero di amici nel proprio quartiere. O studiare le espressioni artistiche di bambini e adolescenti per ricavare indizi sul loro benessere ».

L’ultima proposta del gruppo, infine, si può sintetizzare nel termine de-aglomeration, ovvero il contrario di “agglomerazione”. «Si tratta di decongestionare le megalopoli, promuovendo città più piccole, più vivibili dal punto di vista dei trasporti e delle relazioni umane».

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