mercoledì 14 giugno 2017
La banca centrale americana porta il costo del denaro in un intervallo tra l'1 e l'1,25%. Anche se l'inflazione e i salari non convincono
Janet Yellen, presidente della Federal Reserve americana (Foto Ansa)

Janet Yellen, presidente della Federal Reserve americana (Foto Ansa)

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Alzando il costo del denaro per la seconda volta nel 2017 la Federal Reserve americana ha dimostrato di avere fiducia nella capacità dell’economia statunitense di crescere anche senza aiuti. Il comitato direttivo della banca centrale è infatti andato avanti con un nuovo rialzo dei tassi, il secondo nel 2017 e il terzo dall’inizio della crisi, nonostante negli ultimi giorni fossero arrivati alcuni segnali preoccupanti sulle condizioni di salute economica degli Stati Uniti, tanto da incrinare la certezza dell’imminente rialzo negli investitori.

Il tasso di riferimento è quindi stato portato dall’intervallo tra lo 0,75 e l’1% a quello tra l’1 e l’1,25% nonostante l’inflazione sia meno solida delle attese e anche sul fronte dei salari non si vedono progressi significativi. L’America attraversa infatti una situazione economica che ha qualche somiglianza con quella europea. Da un lato l’inflazione c’è ma non è molto robusta: da 58 mesi consecutivi, come ha ricordato uno dei membri del direttivo della banca centrale, l’inflazione di base delle spese personali (il parametro utilizzato dalla Fed) è sotto l’obiettivo del 2% fissato dalla Fed. Da gennaio, inoltre, il tasso dei prezzi che esclude alimentari ed energia ha avviato un calo significativo, che lo ha portato dal 2,3% all’1,7%. Dall’altro lato gli incredibili livelli minimi che sta toccando il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti (a maggio è sceso fino al 4,3%, il tasso più basso degi ultimi 16 anni) non basta a creare pressione sui salari, che rimangono piuttosto fiacchi: il +3,7% di incremento annuale degli stipendi ad aprile è un dato tutt’altro che entusiasmante.

Insomma: non tutti davano per scontato che Janet Yellen avesse la forza per proseguire con il rialzo dei tassi perché non è così sicuro che l’economia americana sia in grado di stare in piedi da sola. Preoccupazioni simili a quelle che vive l’Europa, anche in questo caso, con la differenza che la Banca centrale europea soltanto lo scorso aprile ha fatto la sua prima misura restrittiva (tagliando da 80 a 60 i miliardi di euro di acquisti mensili del QE) mentre la Fed il suo QE lo ha iniziato a ridurre nel dicembre del 2013, per chiuderlo definitivamente a fine 2014 e annunciare un anno dopo il suo primo rialzo dei tassi.

Tanto che in America oggi si trovano a dovere gestire una questione che in Europa è ancora totalmente fuori dal dibattito: che cosa fare delle obbligazioni e degli altri titoli comprati in questi anni dalla Fed con dollari freschi. Tra il 2008 e il 2015 il bilancio della banca centrale americana è salito da 900 a 4.500 miliardi di dollari per effetto degli acquisti nell’ambito dei piani di espansione monetaria. Dentro ci sono 2.500 miliardi di titoli del Tesoro e 1.800 miliardi di derivati basati sui mutui ipotecari. Il mercato si aspetta che Yellen indichi la strada per una prima riduzione per chiudere l’epoca della politica monetaria ultra-aggressiva anche normalizzando il bilancio della banca centrale.



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