venerdì 6 agosto 2021
Quelle occupate sono diminuite del 2,6 % nel lavoro dipendente (contro l’1,9% degli uomini) e del 7,6% in quello indipendente (contro il corrispondente -2,5% maschile)
Le donne hanno pagato il prezzo più alto a causa della pandemia

Le donne hanno pagato il prezzo più alto a causa della pandemia - Archivio

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Anche in Italia le donne sono le principali vittime dello sconvolgimento sociale ed economico causato dagli effetti globali della pandemia. Un fenomeno di livello mondiale, che ha determinato il calo del 4% della forza lavoro femminile a livello di Paesi Ocse e un impatto negativo sui salari dell’8,1% per le donne contro il 5,4 % degli uomini.

Il Rapporto Inapp (l'Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche) 2021 fotografa, per la prima volta, la cosiddetta shecession (la recessione al femminile come è stata ribattezzata negli Stati Uniti): a dicembre 2020, le donne occupate sono nove milioni e 530mila e gli uomini 13 milioni e 330mila. Rispetto all’anno precedente si contano 444mila persone occupate in meno, di cui 312mila donne, corrispondente a un calo del 3,6% per le donne e del 2% per gli uomini. Rispetto alla tipologia di lavoro, le donne occupate sono diminuite del 2,6 % nel lavoro dipendente (contro l’1,9% degli uomini) e dell’8,3% nel lavoro indipendente (contro il corrispondente -2,5% maschile).

Sono diversi i fattori che hanno incrementato il fenomeno in Italia: la composizione settoriale dell’occupazione, per cui le donne lavorano, più degli uomini, nei settori e nei servizi oggetto a lungo di misure restrittive e di chiusure disposte nel rispetto del distanziamento sociale e che attualmente faticano a riprendersi; il mancato rinnovo dei contratti a termine, in cui le donne sono da sempre presenti in proporzione maggiore, che ha riguardato il 16,2% delle donne contro il -12,4% degli uomini; la riduzione di nuovi rapporti di lavoro che è stata nel 2020 molto più marcata per le donne (-1.975.042) che per gli uomini (-1.486.079) in quasi tutte le tipologie contrattuali (nel tempo determinato -52% donne e -48% uomini; nell’apprendistato -51% donne e -47% uomini; nel lavoro stagionale -34% donne e -31% uomini). Fattore incisivo sulla partecipazione femminile complessiva è stato anche il crescente onere di cura su anziani e minori (aggravato dall’emergenza sanitaria e dalla didattica a distanza).

«Ora serve un nuovo impegno che favorisca una modifica di queste quote e metta seriamente al centro dell’agenda politica la questione dell’innalzamento del tasso di occupazione femminile, da più di 30 anni al di sotto del 48% - ha spiegato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp -. In particolare sono due le direzioni da intraprendere: primo, invertire l’ottica con cui guardare il fenomeno. Non esiste una misura "risolutiva", ma serve una strategia che integri domanda e offerta di lavoro, nel breve e nel lungo periodo, per affrontare la complessità delle determinanti della bassa occupazione femminile. Secondo, non perdere l’occasione del Pnrr. La clausola di condizionalità, recepita dal decreto Sostegni, che richiede il 30% di giovani under 36 e di donne sul complesso delle nuove assunzioni sui progetti del Pnrr, può rappresentare una chance per uscire dalla shecession».

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