domenica 16 giugno 2019
Il senso della guerra tra poveri dei mari italiani, con il governo che ha cambiato le regole in corsa, spingendo Favignana a riattivare la sua tonnara e poi chiuderla nel giro di due settimane
La mattanza dei tonni sull'isola di Favignana (Ginoplusio di Wikipedia in italiano)

La mattanza dei tonni sull'isola di Favignana (Ginoplusio di Wikipedia in italiano)

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La battaglia delle tonnare scoppiata alla vigilia dell’estate del 2019 è una vicenda esemplare di come in Italia politica e burocrazia abbiano una straordinaria capacità di complicare la vita alle imprese, anche a quelle che sanno creare lavoro in territori poveri come la Sicilia e la Sardegna.

Difatti questa è, in definitiva, la cronaca di una battaglia tra poveri. Al centro c’è il tonno rosso, il più pregiato dei tonni. Talmente pregiato e desiderato che negli anni Novanta la pesca di tonno rosso si era fatta così intensa da mettere a rischio la sopravvivenza della specie. Per questo le nazioni riunite nell’Icatt, la commissione internazionale per la conservazione del tonno atlantico, ha introdotto il sistema delle quote, assegnando periodicamente ai diversi Paesi un certo numero di tonnellate di pesce che possono pescare. Il sistema sta funzionando, il Mediterraneo, dove tra maggio e giugno questi pesci arrivano dall’Oceano per la stagione dell’accoppiamento, si sta ripopolando di tonno rosso. Per il 2019 la quota di tonno rosso che si può pescare nel mondo è stata fissata dall’Icatt a 32,2 migliaia di tonnellate, di cui 17,5 riservate ai Paesi dell’Unione Europea, dove l’Italia, con 4.308 tonnellate, ha la terza maggiore quota, dopo Spagna e Francia.

Ogni governo è libero di decidere che cosa fare della sua quota. Nella maggior parte dei Paesi la quota resta “indivisa”: si lascia cioè ai pescatori la possibilità di pescare tutto il tonno che riescono a prendere, per poi interrompere la pesca una volta che la quota totale nazionale è stata raggiunta. L’Italia ha scelto un’altra soluzione: la nostra quota viene suddivisa dal ministero delle Politiche agricole che decide quanto possa pescare ognuno dei dodici pescherecci italiani autorizzati per la più redditizia pesca “a circuizione” – sostanzialmente quelli di due flotte, una campana e una siciliana –, quanto vada alle più numerose barche che pescano con i “palangari”, quanto alle tonnare e quanto alla pesca sportiva. Quasi tutto il tonno rosso italiano è assegnato ai pescherecci (74% per quelli a circuizione, 14% per quelli con i palangari) e una piccola quota (l’8% del totale) è riservata alle tonnare.

A pescare con le tonnare da più di una decina d’anni sono rimasti solo i sardi con tre tonnare nell'area dell'isola di Carloforte. Il sistema della tonnara – dove i tonni vengono incanalati in una serie di stanze di reti per poi arrivare a una “camera della morte” che viene issata per la spettacolare mattanza – è il più antico ma è anche il meno efficiente. Però porta con sé anche una ricaduta positiva di immagine (e di turismo) per il territorio. Per questo da tempo l’isola trapanese di Favignana, dove l’ultima mattanza risale al 2007, lavora per riattivare la sua tonnara.

Questo doveva essere l’anno buono. Il 17 aprile scorso il decreto firmato dal direttore generale del ministero dell’Agricoltura, Riccardo Rigilli, assegnava delle quote di tonno rosso a due tonnare da riattivare, quella di Favignana, appunto, e quella di Cala Vinagra, in Sardegna. Precisamente quel testo stabiliva che alle tre tonnare storiche, tutte in Sardegna, venivano assegnate 279,7 tonnellate di tonno. Una volta che quelle tonnare avessero raggiunto la loro quota, potevano partecipare anche alla pesca per 84,7 tonnellate aggiuntive, dove però Favignana e Cala Vinagra avevano la priorità.

Quel decreto ha convinto la Nino Castiglione, il principale produttore di tonno dell’area del trapanese, a riattivare la tonnara di Favignana. È servito un investimento da circa 700mila euro e sono state assunte una quarantina di persone, che diventano più del doppio se si considera l’indotto. Non male, per un’area povera di lavoro come la Sicilia orientale. Ma la tonnara di Favignana è rimasta aperta solo per un paio di settimane.

Perché, con un nuovo decreto, il 30 maggio il ministero ha cambiato in corsa le regole sulle quote. Nella nuova formulazione, basata sui parametri storici di pesca, alle tonnare sarde tradizionali sono assegnate 328,4 tonnellate, mentre le altre 29 sono equamente divise tra Favignana e Cala Vinagra. Perché una tonnara possa essere redditizia occorrerebbe pescare un centinaio di tonnellate di tonno rosso. Con 14 la riapertura di Favignana diventava un’impresa economicamente senza speranza. Quindi impianto chiuso e lavoratori a casa. «Un imprenditore che investe centinaia di migliaia di euro – ha spiegato Nino Castiglione – ha piena consapevolezza dei rischi che corre, ma può sopportare quelli imprenditoriali non quelli di una politica incapace di sostenere chi decide di creare sviluppo e salvaguardare le tradizioni di un territorio».

Attorno al firmatario del decreto di fine maggio, il sottosegretario leghista Franco Manzato, si è accesa una bufera politica, scatenata dal coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, con l’appoggio, più moderato, del presidente regionale Nello Musumeci. Il senso politico della battaglia è evidente: per Forza Italia, il cui consenso in Sicilia è precipitato a favore della Lega, è un’ottima occasione di recuperare voti. Anche i Cinque Stelle siciliani sono pronti a dare battaglia.

Nel mirino c’è ovviamente Matteo Salvini. Pier Paolo Greco, rappresentante del Consorzio delle tonnare sarde, già a marzo spiegava che «Salvini, durante la campagna elettorale nell’Isola, ha preso l’impegno per una soluzione sulle quote sarde del tonno: voglio sperare che non sia proprio il Carroccio, a capo del ministero delle Politiche agricole, a togliere alla Sardegna il suo unico sistema di pesca del tonno». Una volta pubblicato il secondo decreto, Greco si è compiaciuto del fatto che «per una volta sono stati tutelati i nostri interessi nonostante dalla Sicilia facessero pressioni per evitare che il ministero tornasse sui suoi passi». Mentre dalla Sicilia, dopo che questo pasticcio governativo è costato investimenti e ha eliminato sul nascere nuovi posti di lavoro, sperano di riuscire a ottenere più equità il prossimo anno. O almeno meno confusione ministeriale.

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