mercoledì 22 marzo 2017
L'obiettivo 13 dell'Onu è il contrasto al cambiamento climatico. Come stanno provando a fare a Totnes, nel Regno Unito. Ma a livello globale c'è la retromarcia degli Usa di Trump
Un uomo e la sua capra vittime della siccità in Somalia (Oxfam via Flickr https://flic.kr/p/9LRiYN)

Un uomo e la sua capra vittime della siccità in Somalia (Oxfam via Flickr https://flic.kr/p/9LRiYN)

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La madre di tutte le emergenze: il cambiamento climatico. Si calcola che dal 1990 le emissioni globali di anidride carbonica siano aumentate del 50% circa. E con l’attuale andamento si prevede che, entro la fine del secolo, la temperatura globale aumenterà di tre gradi, con effetti disastrosi sugli equilibri ambientali e sociali. Soltanto in Italia, dal 2014 al 2015, si è riscontrato un aumento del 3% delle emissioni. Un dato che conferma un rallentamento delle misure pro-ambiente attuate negli anni precedenti grazie ad alcuni strategici incentivi fiscali. È chiaro dunque il ruolo fondamentale del- la politica e delle scelte dei governi di ogni singolo Paese, ma soprattutto della necessaria piena assunzione di responsabilità internazionale su questa cruciale emergenza planetaria. Lascia dunque interdetti il fatto che al recente G20 non si sia fatto minimamente cenno all’incombente catastrofe del cambiamento climatico, come se la questione riguardasse un altro pianeta. A esercitare pressioni in tal senso sarebbero stati l’Arabia Saudita e gli Usa del neopresidente Donald Trump che alla difesa dell’amcembre biente preferisce le spese militari, visto l’annunciato taglio di due miliardi di dollari (pari al 40%) alla prima per favorire la seconda. Quando nel settembre 2015 l’Assemblea generale dell’Onu approvò l’Agenda 2030, il negoziato climatico multilaterale era ancora in pieno svolgimento. Per questo motivo l’obiettivo numero 13 non ha definito con precisione i target climatici, lasciando che fosse la successiva Cop 21 a stabilire tempi, modi e obiettivi. Così con l’accordo di Parigi di di- 2015 (parte integrante dell’Agenda 2030), sottoscritto da ben 195 Paesi, l’obiettivo è diventato il contenimento dell’aumento della temperatura media globale molto al di sotto dei due gradi (rispetto ai livelli preindustriali), puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Un risultato che ridurrebbe parecchio i rischi e gli impatti del cambiamento climatico raggiungendo la neutralità carbonica (emissioni uguali agli assorbimenti) nella seconda metà del secolo. Ma, come purtroppo visto al G20 dello scorso weekend, la coscienza internazionale pare ancora lontana dal senso di realtà.


Una città dove gli abitanti sognano insieme un futuro migliore fatto di gente che si conosce bene e si aiuta e dove tutti si fanno carico dei problemi degli altri, si tratti di malattia o mancanza di lavoro, della solitudine degli anziani o della ricerca di una casa. A Totnes, paesotto di 8500 abitanti nel Devon, profondo sud di Inghilterra, la "high street" è fatta di negozietti e piccoli caffè gestiti da persone del posto. Mancano le grandi catene che hanno reso, ormai, anonimi e tutti uguali tanti centri del Regno Unito. Qui persino i mendicanti sembrano diversi. Vestiti abbastanza bene, con il loro zainetto, chiacchierano con i passanti che conoscono e il contenitore dell’elemosina sembra quasi uno stipendio guadagnato con dignità.

È in questo centro pittoresco, dove il municipio è coperto da 74 pannelli solari, che il sogno ambientalista sta diventando realtà, avviato, dieci anni fa, da tre o quattro persone guidate da Rob Hopkins, il fondatore del movimento di transizione che promuove l’idea di un’economia locale autosufficiente indipendente dal petrolio. Oggi sono un centinaio, tra volontari e dipendenti, che lavorano per "Transition-TownTotnes", una charity che gestisce una ventina di progetti che vanno dalla salute ai servizi sociali, dalla produzione di cibo all’energia e all’edilizia passando per le arti. «Ci incontriamo una volta al mese – spiega Thea Platt, una delle coordinatrici – e riferiamo dei risultati che abbiamo ottenuto chiedendoci anche a che punto siamo nella visione che stiamo costruendo. Non esiste una struttura gerarchica. Siamo tutti allo stesso livello e comunichiamo per aiutarci».

Totnes è una città che si pensa e si gestisce rispettando l’ambiente e la vita sulla terra proprio come richiedono gli obiettivi 13, 15 e 16 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Quale esempio migliore di «pace giustizia e istituzioni forti» del "progetto Atmos" col quale 673 cittadini hanno deciso, con un referendum, di usare un’area fabbricabile abbandonata, vicino alla stazione, per costruire 99 edifici, case a prezzi accessibili anche alla fetta più povera della popolazione e agli anziani e uffici e spazi di lavoro per oltre 150 persone oltre a un piccolo impianto per la produzione di birra. «I cittadini si sono riuniti e, dopo qualche incontro pubblico, hanno optato per un uso di quest’area a vantaggio di tutta la comunità – spiega Thea Platt –. Hanno formato una "industrial and provident society"', una specie di cooperativa con la quale hanno acquistato quest’area come proprietà comune. C’è stata poi una consultazione generale. Per la prima volta nel Regno Unito si è costruito senza chiedere il permesso al comune grazie a un '"ommunity right to build orde"', ovvero una parte della legislazione che trasferisce ai cittadini il diritto di costruire purché siano tutti d’accordo su che tipo di edificio vogliono».

Le case, costose e inaccessibili per la maggior parte della popolazione, sono un’area chiave di lavoro del movimento di transizione locale, l’obiettivo del progetto "Transition Homes" col quale un gruppo di volontari mette a disposizione il proprio tempo per collaborare con costruttori locali che garantiscano edifici accessibili a tutti. Se tutti i progetti di "Transition-TownTotnes" puntano a fare a meno del petrolio e, in buona parte, vi riescono, il settore dove questo obiettivo viene raggiunto più facilmente è quello della produzione di cibo. Con la campagna "10% Shift Campaign" i cittadini sono stati incoraggiati a comprare il 10% del proprio cibo in negozi locali, anziché supermercati. Con un altro progetto, dedicato alle granaglie, si sta studiando se sia possibile coltivare l’avena per consumo umano anziché animale.


«Cerchiamo di incoraggiare un minore consumo di carne e latticini non solo per ragioni di salute, ma anche per l’impatto che la produzione di questi alimenti ha sull’ambiente soprattutto se si tratta di agricoltura intensiva» spiega ancora Thea Platt. «A Totnes esiste una grande passione per il cibo prodotto localmente. Abbiamo pubblicato 4mila piccole guide che forniscono ai lettori tutte le informazioni sulle fattorie della zona». «L’amministrazione comunale ci sostiene con fondi e ci autosovvenzioniamo facendo in continuazione campagne di fundraising – continua Thea Platt –. È anche grazie a soldi pubblici che sono state avviate due aziende di energia rinnovabile, "Totnes Solar" e "Beco Energy". Totnes attira imprese verdi che lavorano in armonia con l’ambiente».

Sempre coltivati da volontari sono tre pezzetti di terreno, gli "incredible edible beds" dove crescono rucola e cavolo verde a disposizione di chiunque li voglia raccogliere. Per gli anziani c’è il "Memory cafè", un caffè dove ci si può incontrare e partecipare a iniziative per mantenere viva la mente. «Mi sento parte di una visione, un grande sogno. E non conta tanto quello che facciamo, ma come lo facciamo e quanto riusciamo a coinvolgere la popolazione locale rendendola protagonista di questo progetto – conclude Thea Platt –. Una parte importante sono le arti e gli incontri nei quali celebriamo quello che abbiamo raggiunto. Ora, a marzo, ci sarà anche un film festival e ci attendiamo duemila persone».

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