martedì 13 marzo 2018
Indagine di Censis e Confcooperative sulla situazione lavorativa e le prospettive pensionistiche dei trentenni italiani. Senza interventi si rischia un futuro di estrema povertà.
Un ragazzo davanti a un'agenzia interinale (Ansa)

Un ragazzo davanti a un'agenzia interinale (Ansa)

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Da millennials a poveri nel giro di trent'anni. Sarebbe questo il destino al quale rischiano di andare incontro circa 5,7 milioni di lavoratori italiani entro il 2050. Uno scenario inquietante dipinto dal Censis per Confcooperative nello studio “Millennnials, lavoro povero e pensioni”, presentato oggi a Roma dal numero uno dell'associazione, Maurizio Gardini.

Stando ai dati ricavati dall'istituto di ricerca, a ingrossare le fila di questo futuro esercito di poveri sarebbero soprattutto i neet tra i 18 e i 35 anni, cioè coloro hanno rinunciato ad ogni prospettiva di lavoro o formazione (più di 3 milioni). A questi vanno poi aggiunti altri 2,7 milioni di lavoratori divisi tra working poor e impiegati in “lavori gabbia”. Termini del gergo statistico occupazionale che designano chi non riesce a scavalcare la soglia di povertà pur avendo un introito e quelle particolari occupazioni non qualificate dalle quali, una volta ottenute, è piuttosto difficile uscire.

Per Gardini «queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata. Lavoro e povertà – avverte – sono emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opportunità dei padri».

E' infatti la discriminazione tra generazioni, e il relativo trattamento previdenziale, a determinare l'orizzonte individuato dal Censis. A un giovane che ha iniziato a lavorare a 29 anni nel 2012, destinato a uscire dal lavoro a 67 anni con 38 anni di contribuzione, spetterà infatti una pensione pari al 69,7% dell'ultima retribuzione, contro l'84,3% di un ex dipendente di 74 anni che ha iniziato il suo impiego nel 1972 ed è uscito dal mercato del lavoro nel 2010.

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