mercoledì 9 novembre 2022
Contratti a termine, part-time involontario e retribuzioni ferme: le debolezze del sistema italiano si sono cronicizzate durante la pandemia
Giovani e donne esclusi dal mercato del lavoro

Giovani e donne esclusi dal mercato del lavoro - Ansa

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Il nostro non è un Paese per giovani. E nemmeno per donne. È quanto emerge dal Rapporto Inapp 2022-Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro presentato ieri alla Camera dei deputati dal professore Sebastiano Fadda, presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. «Malgrado alcuni segnali confortanti – ha spiegato Fadda – alcune debolezze del nostro sistema produttivo sembrano essersi cronicizzate, con il lavoro che appare intrappolato tra bassi salari e scarsa produttività. Per questo occorre pensare a una “nuova stagione” delle politiche del lavoro, che punti a migliorare la qualità dei posti di lavoro, soprattutto per i neoassunti e per i lavoratori a basso reddito, per le posizioni lavorative precarie e con poche possibilità di carriera, dove le donne e i giovani sono ancora maggiormente penalizzati». Terminata l’emergenza Covid-19, infatti, il mercato del lavoro appare ancora intrappolato nella precarietà: dei nuovi contratti attivati nel 2021 sette su dieci sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%), solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni a impieghi stabili, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale. Il nostro poi è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1% e dove le politiche in tema di sostenibilità sono state adottate appena dall’8,6% delle imprese. «Sono proprio i giovani – ha ricordato il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè – la categoria più esposta al crescente rischio di disagio e povertà, peraltro in un contesto in cui aumentano le disuguaglianze, anche a livello territoriale, e si manifesta la necessità di un aggiornamento dei sistemi assistenziali e previdenziali, anche in una prospettiva sistemica di equità e solidarietà intergenerazionale. Una risposta efficace ad alcune carenze strutturali in tema di formazione è rappresentata dall’istituzione del Sistema terziario di istruzione tecnologica superiore, la cui legge è stata approvata definitivamente nel luglio 2022, con la riforma degli attuali Istituti tecnici superiori (Its)». In Italia il tasso di occupazione, sceso dal 58,8 al 56,8% all’inizio della pandemia, ha ripreso a crescere solo nel 2021 e ha impiegato 18 mesi per tornare ai livelli pre-crisi. Nei Paesi Ocse la risalita era già consistente nel secondo trimestre 2020 e si è completata in 15 mesi. Nel 2021 sono stati 11.284.591 le nuove assunzioni, con prevalenza della componente maschile: 54% contro il 46% per le donne. Nel 2021 il 68,9% dei nuovi contratti sono a tempo determinato (il 14,8% a tempo indeterminato). Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni. Nel 2021 il part time involontario (la quota di lavoratori che svolgono un lavoro a tempo parziale non per scelta) rappresenta l’11,3% del totale dei lavoratori contro il solo 3,2% nell’area Ocse. Allo stesso tempo la tendenza alla riduzione dell’orario di lavoro sembra non arrestarsi e il prodotto per singola ora è bloccato dal 2000 rispetto a tutti i Paesi, non solo membri dell’Ue. «Dobbiamo essere attenti a recuperare i livelli occupazionali pre-pandemia – ha concluso la ministra del Lavoro Marina Calderone – ma anche a fare in modo che il lavoro flessibile nelle varie forme che abbiamo imparato a conoscere incontri competenze costantemente in aggiornamento tali da vanificare il rischio della precarietà. Come farlo è spesso il punto di caduta dei buoni propositi. Sulla formazione stiamo sprecando risorse e tempo che in questo momento non abbiamo. E quindi credo che possiamo incidere sulla formazione capace di accrescere competenze funzionali al mercato del lavoro, mentre in parallelo si lavora per ridurre la distanza tra lavoratori e imprese». Nel Rapporto è contenuta anche una riflessione sui Centri per l’impiego e sull’orientamento. Dall’ultima indagine Inapp-Plus, infatti, è risultato che negli anni che vanno dal 2011 al 2021 quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato un posto tramite amici, parenti o conoscenti, il 9% attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo, soltanto il 4% attraverso i Centri per l’impiego. E nel 2021 soltanto l’11% di coloro che attualmente sono in cerca di occupazione si è rivolto ai Centri per l’impiego e si raccoglie, inoltre, nelle fasce più deboli e meno qualificate. «Indubbiamente, una delle cause principali di questo cattivo funzionamento – si legge – risiede nel basso numero di addetti ai Centri, che spinge in troppi casi a un valore troppo alto il rapporto tra prese in carico e addetti, ma di grande importanza sono pure: il livello di competenze possedute dal personale, generalmente incapace di leggere le dinamiche locali dell’economia e del mercato del lavoro e di interagire col sistema delle imprese; l’insufficiente strumentazione digitale e l’insufficiente interoperabilità della rete; la mancata integrazione con tutti gli operatori dell’intermediazione nei territori; ma soprattutto la mancanza di chiarezza sulle funzioni stesse dei Servizi per l’impiego». Strettamente connesso al ruolo dei Centri per l’impiego come braccio operativo delle politiche attive del lavoro è il sistema di orientamento: «Sono necessarie una sostanziale revisione e una profonda messa a punto. Non può essere più concepito come un supporto episodicamente fornito ai giovani o alle famiglie nei momenti canonici in cui si devono compiere scelte relative alle iscrizioni scolastiche o universitarie o nei momenti in cui si debba accettare o respingere una proposta di lavoro».

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