mercoledì 21 settembre 2022
Nuovo rialzo da 75 punti base, il costo del denaro ai massimi dal febbraio del 2008. Powell: determinati contro l'inflazione, ritardare l'intervento provocherebbe più dolore
Jerome Powell, presidente della Federal Reserve

Jerome Powell, presidente della Federal Reserve - Reuters

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Con un altro rialzo da 75 centesimi, la Federal Reserve ha portato il costo del denaro negli Stati Uniti in un intervallo tra il 3% e il 3,25%, il livello più alto dal febbraio del 2008. L’esito della riunione del Federal Open Market Committee, il comitato della banca centrale americana, ha confermato le previsioni degli analisti, anche se c’era chi si aspettava un aumento dei tassi di un intero punto percentuale. La crescita del costo del denaro portata avanti dalla Fed è stata impressionante. I tassi erano ancora a zero (precisamente tra lo zero e lo 0,25%) a metà marzo, quando è iniziata la più forte stretta monetaria degli ultimi trent’anni: nel giro di sei mesi la banca centrale americana ha approvato prima un rialzo di 25 centesimi, poi uno da 50, quindi tre da 75.

Lotta all'inflazione

Il consiglio della Fed ha votato all’unanimità l’ultimo aumento, così come aveva fatto con i precedenti: «Il Comitato mira a raggiungere la massima occupazione e un’inflazione del 2% nel lungo termine». L’obiettivo dei rialzi dei tassi resta fermare l’inflazione, che negli Stati Uniti ha già iniziato a rallentare: è salita fino al 9,1% di giugno per poi scendere all’8,5% a luglio e all’8,3% ad agosto. Questo rallentamento però rischia di interrompersi: ieri il prezzo medio della benzina in America è tornato a salire (un penny in più, a 3,68 dollari al gallone) dopo 98 giorni consecutivi di calo che hanno favorito la discesa dell’inflazione. «Più a lungo continua l'attuale ondata di alta inflazione, maggiore è la possibilità che le aspettative di una maggiore inflazione si rafforzino» ha avvertito Jerome Powell, presidente della Fed, ricordando che «l’inflazione elevata impone notevoli difficoltà. Erode il potere d'acquisto, soprattutto per coloro che sono meno in grado di soddisfare il costo più elevato di beni essenziali come cibo, alloggio e trasporti».

Nuovi rialzi in arrivo

La stretta monetaria non è ancora finita. La Fed ha pubblicato anche l’aggiornamento delle sue previsioni, compreso il "dot plot", il grafico a punti in cui indica la traiettoria dei tassi per i prossimi mesi. Secondo le nuove proiezioni il tasso medio a fine anno sarà compreso tra il 4,1% e il 4,4%, salirà al 4,6% il prossimo anno per poi scendere nei due anni seguenti: al 3,9% nel 2024 e al 2,9% nel 2025. Tagliata drasticamente (dal +1,7% al +0,2%) la previsione sul Pil degli Stati Uniti per il 2022, e anche quella per il 2023, che si riduce da un +1,7% a un +1,2%.

Il rischio recessione

La stretta sui tassi non può che frenare la crescita e può provocare una recessione. La Fed questo lo sa bene: «Abbiamo sempre saputo che ripristinare la stabilità dei prezzi, ottenendo nel contempo un aumento relativamente modesto della disoccupazione e un atterraggio morbido, sarebbe stato molto impegnativo – ha detto Powell –. Nessuno sa se questo processo porterà a una recessione o, in caso affermativo, quanto sarebbe significativa tale recessione». Ma occorre comunque riportare l’inflazione sotto controllo «perché il fallimento nel ripristinare la stabilità dei prezzi significherebbe un dolore molto più forte in seguito».

Sui mercati è stata una giornata di alti bassi. Milano, con un +1,2%, è stata la migliore in Europa. Il rendimento dei Btp a dieci anni al 4,12%, a 223 punti di distanza dal tasso del Bund tedesco. Nei titoli in scadenza a due anni i tassi dei Btp hanno superato quelli dei bond greci: 2,72% contro 2,47%.



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