giovedì 14 marzo 2019
Dagli immigrati alle persone affette da ludopatia: un gruppo di cooperative per aiutare chi si trova in difficoltà
Dal consorzio Emanuel una rete per gli ultimi
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Il primo nucleo del consorzio Emanuel è nato a Lecce, la notte di Natale del 1980, da un gruppo di fedeli che, accompagnati da padre Mario Marafioti, hanno deciso di affiancare alla preghiera un’attività di servizio e di aprire una casa famiglia per persone svantaggiate. Da quarant’anni questa realtà cooperativa porta avanti i valori cristiani di solidarietà e sostegno nei confronti dei meno fortunati. «All’inizio ci siamo occupati dei ragazzi senza famiglia e delle persone con disabilità, poi il vescovo ci ha chiesto di affrontare il problema delle dipendenze – racconta il presidente Daniele Ferrocini –. Con l’andare del tempo le accoglienze di sono moltiplicate: l’attività si è allargata agli immigrati, agli anziani con problemi di demenza senile, alle persone che si trovano in povertà estrema o ai diversi tipi di dipendenza come quella dal gioco patologico». Oggi il consorzio è una realtà della quale fanno parte 18 cooperative in diverse regioni d’Italia: Puglia, Basilicata, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Lombardia e Piemonte. C’è anche una fondazione che si occupa di cooperazione internazionale al servizio degli immigrati e un’associazione riconosciuta. Uno dei servizi di intervento più innovativo è quello dedicato all’azzardo patologico. I soggetti affetti da ludopatia vengono trattati nei casi più semplici in formula ambulatoriale e in quelli più acuti in forma residenziale. «La casistica è molto varia – spiega Ferrocini – ci sono persone con titoli di studio elevati oppure soggetti fragili che hanno superato la dipendenza da sostanze e dopo un periodo di 'libertà' sono diventate schiave del gioco. Si tratta di una patologia che colpisce in maniera trasversale sia per quanto riguarda le fasce sociali che l’età: si va dai giovanissimi agli anziani». La filosofia del consorzio è quella di lavorare per piccolo gruppi: ogni struttura ospita non più di dieci o venti persone e lo stile di vita è di tipo familiare. Accanto all’intervento terapeutico c’è molta attenzione all’aspetto relazionale. «Noi mediamente abbiamo 250-300 operatori retribuiti – spiega il presidente – lavorando su affidamenti temporanei e appalti ci sono momenti in cui il numero di persone aumenta. Un ruolo fondamentale ce l’hanno i volontari che vengono a dare una mano: gli ultimi dati disponibili parlano di 460 persone. Si tratta di una rete di sostegno dell’attività la cui ossatura è comune costituita dal personale retribuito». Anche per quanto riguarda l’assistenza agli immigrati si lavora in piccoli gruppi e in particolare sull’inserimento sociale e lavorativo: si punta a percorsi strutturali con l’insegnamento dell’italiano, la formazione professionale e gli inserimenti in azienda in piena autonomia. «Una richiesta che sta emergendo negli ultimi anni è la difficoltà delle famiglie con persone anziane che non riescono a gestire i problemi di Alzheimer e altre forme di demenza – conclude Ferrocini – devono essere sostenute con servizi giornalieri e domiciliari per non creare nuovi ghetti ma soluzioni concrete ai familiari che devono riuscire a conciliare le attività lavorative con quelle di assistenza».

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