lunedì 14 febbraio 2022
Nonostante il recupero finale i mercati bruciano 201 miliardi di euro di capitalizzazione. Gli investitori vedono un 42% di probabilità di un "default" di Kiev
Borse europee in profondo rosso in apertura di seduta per la crisi Russia-Ucraina

Borse europee in profondo rosso in apertura di seduta per la crisi Russia-Ucraina - Ansa

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Dice Peter Oppenheimer, capo analista dei mercati azionari per Goldman Sachs, che un’invasione dell’Ucraina potrebbe provocare un calo di un po’ più del 5% delle grandi Borse internazionali. Nel 2014 l’annessione della Crimea alla Russia, ha ricordato Oppenheimer parlando alla Cnbc, costò circa il 5% alle Borse. Stavolta la posta in gioco è più alta, quindi potrebbe andare un po’ peggio, ma non troppo. Se stime come questa sono corrette, si può dire che i mercati finanziari abbiano già scontato quasi la metà del rischio-invasione, che pure sembra già diminuito dopo la giornata di ieri.
Il timore di un’operazione imminente delle truppe russe ha svegliato male le Borse europee dopo questo fine settimana. A pochi minuti dall’apertura gli indici principali di Londra, Francoforte, Parigi, Milano e Madrid erano già tutti in calo di quasi il 3%. Con il passare delle ore l’allarme rosso è rientrato solo in parte. Milano ha chiuso con una caduta del 2%, così come Francoforte. Parigi ha perso il 2,3%, Londra l’1,7%%. L’indice Stoxx 600, composto dai titoli delle 600 maggiori aziende quotate d’Europa, ha chiuso con un calo dell’1,9%, che equivale a 201 miliardi di euro di capitalizzazione "bruciata". È partita debole anche Wall Street. Sono andati molto male pure i mercati asiatici, che chiudono quando in Europa è mattino: Tokyo ha perso il 2,2%, Hong Kong l’1,5%, Shanghai l’1,3%. Paradossalmente è andata meglio la Borsa di Mosca, dove l’indice in rubli Moex ha chiuso con un -1,8%.
La crisi russa si inserisce in un contesto reso già complicato dall’impennata dell’inflazione che spinge le banche centrali ad aumentare i tassi. È già in corso un rialzo generale dei rendimenti dei titoli a reddito fisso, come le obbligazioni private e i titoli di Stato, accompagnato da una frenata dei listini azionari, che dopo la botta del Covid-19 erano già tornati quasi tutti (non Milano) a segnare nuovi record storici negli ultimi mesi del 2021. In questo scenario i Btp italiani decennali che a fine 2021 pagavano tassi di interesse dell’1% continuano a stare vicini alla soglia simbolica del 2%. Ieri hanno chiuso all’1,95%, più o meno al livello di venerdì scorso, con uno spread di 170 punti rispetto ai Bund tedeschi.

Gli effetti maggiori della crisi in corso si vedono chiaramente negli asset direttamente legati alla Russia e all’Ucraina. Il rublo, la moneta della Federazione Russa, è diventato estremamente volatile. A gennaio era sceso ai minimi degli ultimi quindici mesi, a 80,4 rubli per un dollaro, poi ha recuperato e ieri è sceso di nuovo: servono 76 rubli per comprare un dollaro, quando lo scorso novembre ne bastavano 70. Il prezzo dei bond ucraini in scadenza nel 2032 è sceso a 77 centesimi per un dollaro di debito, segno che i grandi fondi ritengono improbabile che Kiev sia in grado di rimborsare quanto ottenuto in prestito (in base alle assicurazioni contro l’insolvenza, cioè i cds, il mercato ritene che Kiev abbia il 42% di probabilità di fare default). Ma gli effetti economici negativi, molto concreti, sull’Ucraina si moltiplicano. La compagnia di bandiera Ukraine International Airlines ha ammesso che le compagnie assicurative non stanno più coprendo dai rischi per voli nello spazio ucraino di alcuni dei suoi aerei.


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