lunedì 1 maggio 2017
La rete internazionale della compagnia degli emiri è un mezzo disastro finanziario: perdite pesanti per Air Berlin e Virgin Australia, tra le grandi si salva solo Jet Airways
Un A330 di Etihad fa manovra all'aeroporto di Chubu (Kentaro Iemoto via Flickr, https://flic.kr/p/8cymEM)

Un A330 di Etihad fa manovra all'aeroporto di Chubu (Kentaro Iemoto via Flickr, https://flic.kr/p/8cymEM)

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Adesso è inutile accanirsi con gli emiri di Abu Dhabi a cui tre anni fa è stata scaricata mezza Alitalia, però a conti fatti la rete internazionale composta da sei vettori creata da Etihad in questi anni è un mezzo disastro finanziario e industriale in cui la compagnia italiana non è nemmeno la principale protagonista.

I conti del 2016 del vettore tricolore non sono ancora stati presentati, ma se anche si fossero chiusi con una perdita di oltre 600 milioni di euro, come lasciato circolare nelle ultime settimane, sarebbero comunque migliori di quelli di Air Berlin, in cui Etihad ha attualmente una quota del 29,21%: il risultato netto del vettore tedesco nel 2016 è un rosso di 781,9 milioni di euro a cui vanno aggiunti altri 293,3 milioni di perdite nei primi tre mesi del 2017. Nel conto dello scorso anno ci sono costi di ristrutturazione per oltre 335 milioni che giustificano un rosso così profondo, in quelli dell’inizio di quest’anno però queste spese straordinarie sono di soli 5,9 milioni e così non è esagerato dire che Air Berlin sta andando addirittura peggio di Alitalia.

A differenza della compagnia italiana, però, quella tedesca ha un futuro già quasi definito: un futuro che si chiama Lufthansa. Il primo vettore di Germania starebbe organizzando il salvataggio del secondo: ha già preso in gestione 35 aerei e domani, come rivelato dal settimanale economico tedesco Focus, il manager della compagnia, Carsten Spohr, accompagnerà Angela Merkel ad Abu Dhabi, dove tratterà con Etihad l’acquisizione di Air Berlin. Gli arabi, scrive Focus, vogliono liberarsene «nel più breve tempo possibile».


Fuori da un’Alitalia commissariata e liberata da un’Air Berlin tornata in mani tedesche, Etihad dovrà decidere che cosa fare con Virgin Australia, altro punto debole della sua rete. La compagnia degli emiri controlla il 20,94% di questo vettore, che con 24 milioni di passeggeri trasportati nel 2016 è il secondo d’Australia, dopo Qantas. Ma se Qantas due anni fa è riuscita a completare un prodigioso rilancio e ora è la compagnia più forte dell’area del Sudest Asiatico, Virgin fa molta fatica: chiuso con una perdita di 225 milioni di dollari australiani (poco più di 150 milioni di euro) il bilancio 2015-2016 ha da poco presentato il primo semestre dell’esercizio 2016-2017, dove ha accumulato altri 21 milioni di dollari di perdite. «Non è proprio una storia di rilancio» hanno constatato, delusi, gli analisti, che a questo punto si chiedono in che direzione andrà questa azienda.

La perdita complessiva dei tre vettori in difficoltà nell’orbita di Etihad, stando agli ultimi bilanci, ammonta così a circa un miliardo e mezzo di euro. Un rosso troppo profondo per essere bilanciato dagli utili delle tre controllate in attivo. Etihad infatti controlla due compagnie redditizie ma molto piccoline: una è la turistica Air Seychelles (ne controlla il 40%), che deve ancora presentare i conti 2016 ma nel 2015 ha fatto il record di utili, arrivando a 2,1 milioni di dollari; l’altra è Air Serbia (gli arabi hanno una quota del 49%), che sempre nel 2015 ha portato 3,9 milioni di euro di profitti.

Ma sono cifre bassine. Meno male, per Etihad, che c’è Jet Airways, il vettore indiano da cui è arrivato il manager di Alitalia, Cramer Ball. Gli arabi ne controllano una quota del 24% e con i suoi 26,8 milioni di passeggeri Jet è la seconda compagnia del gruppo, dopo Air Berlin e davanti ad Alitalia. Dopo i 345 milioni bruciati nel 2015, nel 2016 il vettore indiano ha ritrovato l’utile, a 185 milioni di dollari, ed è riuscito a rimandere in attivo nei trimestri successivi nonostante le difficoltà della rupia.

Sommando gli utili delle tre controllate in attivo ai 103 milioni di profitti della capogruppo Etihad nel bilancio 2015 (in attesa dei conti del 2016) si arriva grosso modo a meno di 300 milioni di euro di utili a fronte di un miliardo e mezzo di perdite della rete controllata dagli arabi, che davanti a questi numeri sembrano un po’ dei Re Mida al contrario, capaci di affossare quasi ogni azienda che toccano.



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