martedì 2 maggio 2017
Introdotti dal protocollo di Kyoto sono strumenti utilizzati anche nei paesi in via di sviluppo. In Rwanda un progetto coinvolge 5mila coltivatori di Piretro, un insetticida naturale
Con i crediti di carbonio le imprese incentivate ad inquinare di meno
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Dal 2005, l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto ha reso i crediti di carbonio degli strumenti finanziari straordinariamente importanti, avendo imposto - con l’intento di sostenere iniziative di alto valore socioambientale - alle industrie ed ai governi inquinanti il loro acquisto da chi virtuosamente avesse intrapreso strategie per ridurre l’impatto negativo sul clima: in questo contesto, risultano indispensabili per evitare di incorrere nel pagamento di una sorta di tassa sulle emissioni di gas serra. Questa posizione politico-normativa favorisce i mercati rivolti a investimenti in progetti localizzati nei paesi in via di sviluppo, permettendo a intere popolazioni l’accesso a fonti di energia pulita, la riduzione della deforestazione, un migliore uso delle risorse naturali e contribuendo attivamente a nuovi modelli di sviluppo. Nonostante sia spesso inserito in contesti ambientali o finanziari, e non sempre a proposito, non è del tutto chiaro il significato di un credito.

In effetti, rappresenta uno strumento tangibile per sostenere la riduzione delle emissioni di gas serra tramite il finanziamento di programmi i cui benefici non sono solo attinenti all’ambiente e alle risorse naturali del pianeta - l’impatto dei gas serra è globale, non ha stato, né confini e l’anidride carbonica emessa in Italia ha lo stesso effetto di quella emessa in Africa - ma coinvolgono anche la società e l’economia, in particolare, dei paesi in via di sviluppo. Tali crediti, sono da intendersi come vera e propria “moneta” e traducono i costi delle emissioni di CO2 in un valore economico, e, quindi, vendibile: a riprova che si tratta di un vero e proprio “cambio valuta”, un credito di carbonio è equivalente ad una tonnellata di CO2 non dispersa in atmosfera, a prescindere da luogo di emissione. Legittimo nell’era del mercato globale il timore di veder degenerare il sistema dei crediti in un lasciapassare all’inquinamento per broker senza scrupoli interessati esclusivamente alla speculazione su prezzi e volumi: gli abusi, come noto, sono fisiologici in ogni settore. E i mercati non fanno eccezione. A tale proposito, va sottolineato che chi finora è ricorso alla politica dei crediti, ha aderito allo spirito originario, teso a compensare gli effetti di quelle emissioni che non sarebbero state altrimenti ridotte. A sprone della corretta applicazione della legge ha probabilmente contribuito il recente invito della Conferenza sul Clima di Parigi alle aziende perché assumano un ruolo chiave nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, anche perché - ad oggi - la “Climate Finance” è l’unico strumento che permette di attrarre capitali privati a supporto di nuovi modelli di sviluppo sostenibile: in teoria, senza dubbio, interessante, ma, in pratica? Così facilmente applicabile? Già un pioniere ha tentato il percorso e può essere modello? E quale è il livello di conoscenza di questo tipo di finanza in Italia?

Nel nostro Paese il concetto di “Climate Finance” è di recente introduzione a differenza dei mercati più maturi del Nord Europa, che già da tempo hanno affinato sofisticate procedure nella scelta del portafoglio crediti di carbonio, selezionando i progetti in base a criteri qualitativi come lo standard di certificazione utilizzato e la capacità di generare co-benefici. Pertanto, le imprese che intendono intraprendere un percorso di “compensazione” o “neutralizzazione” delle emissioni, dovrebbero considerare questi aspetti nelle loro decisioni strategiche ed affidarsi ad esperti di settore per evitare di acquistare certificati secondo il solo criterio del costo senza andare oltre il concetto di CO2 evitata.“Dal 2012 ad oggi i nostri progetti hanno generato oltre mezzo milione di crediti di carbonio certificati - spiega Andrea Maggiani, al vertice di CarbonSink, società specializzata nei meccanismi di “Climate Finance” e fondata a sostegno delle aziende nella creazione di politiche di sostenibilità- operando in diversi Paesi dell’Africa e dell’America Latina in collaborazione con imprese sociali, NGOs, istituzioni pubbliche e fondi di investimento”.

“La nostra mission - prosegue Maggiani - sta nell’assistere e coinvolgere le aziende in progetti di sviluppo sostenibile, integrando, proprio grazie al meccanismo dei crediti di carbonio, la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico nei loro modelli di business”. Questo modus operandi consente di implementare iniziative capaci di coniugare la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico con un contributo reale e misurabile al raggiungimento dei “Sustainable Developmet Goals” (SDGs) già definiti dall’agenda delle Nazioni Unite. “Di recente abbiamo avviato un interessante progetto in Rwanda dove il ruolo ed il contributo delle aziende private coinvolte è stato e sarà essenziale” sostiene Maggiani. Un programma che prevede il coinvolgimento di 5.000 coltivatori di Piretro - un potente insetticida naturale - in un progetto sociale per la sostituzione dei tradizionali sistemi di cottura con nuovi e più efficienti metodi, allo scopo di ridurre il consumo di legna e le conseguenti emissioni di CO2 ed altre sostanze nocive alla salute umana. La realizzazione del piano implicherà due immediati effetti “a catena”: la significativa riduzione della pressione sulle aree forestali e la diminuzione della spesa sostenuta dalle famiglie per l’acquisto di legna, merce assai rara - e preziosa - in un Paese che ha vissuto anni di disboscamento selvaggio. “I crediti di carbonio - certificati Gold Standard - generati dal progetto, saranno poi venduti per allargare ulteriormente il programma con il coinvolgimento di oltre 30.000 agricoltori dell’area di Musanze - annuncia Maggiani - così che con i benefici immediati si possa garantire la sostenibilità del progetto negli anni futuri”.


Cosa si intende con “crediti di carbonio” e a quale scopo sono stati pensati?
Si tratta di certificati, scambiati su quei particolari mercati la cui moneta di riferimento è la tonnellata di CO2, atti a fornire incentivi economici nei riguardi di stati ed imprese che attuino politiche di riduzione di emissioni di gas serra, responsabili del grave fenomeno del cambiamento climatico a livello globale. Implicitamente, assegnando un costo a tali emissioni, si interviene a vantaggio dei virtuosi che provvedono ad adottare strategie meno lesive nei riguardi dell’ambiente. E come funziona il mercato dei crediti? In altri termini, chi “concretamente” compra e vende? Potendo essere generati solo da coloro che si dimostrano in grado di ridurre le emissioni, verranno comprati dagli Stati o aziende che non le avranno ridotte, innescando così un circolo virtuoso secondo cui chi continua a danneggiare l’ambiente finanzia progetti per la lotta al cambiamento climatico. Il sistema di mercato di riferimento è quello di una rete globale, efficiente e trasparente che assegni un valore alle emissioni di gas serra: un valore, appunto, e non solo un prezzo. E’, infatti, inevitabile che oltre ad un indirizzo politico e giuridico, da una tale scelta emerga la volontà di diffondere nelle coscienze una maggior consapevolezza collettiva nei riguardi della tematica ambientale.

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