mercoledì 27 giugno 2018
Il Pil 2018 crescerà dell'1,3% invece che dell'1,5%. Pesano il calo dell'export e il taglio degli investimenti. Questo rallentamento complica ulteriormente i piani fiscali del governo
Confindustria vede la frenata della ripresa italiana
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Anche il Centro studi di Confindustria (Csc) ha dovuto correggere le sue previsioni, perché la ripresa sta rallentando più rapidamente del previsto. A dicembre si aspettavano che quest’anno il Pil sarebbe cresciuto dell’1,5%, come l’anno scorso, per poi rallentare a un +1,2% nel 2019. Invece ora vedono una frenata già quest’anno, che secondo le nuove stime dovrebbe chiudersi con una crescita dell’1,3%, mentre l’anno prossimo il Pil si fermerebbe a un +1,1%.

Colpa, soprattutto, del calo delle esportazioni, che in questi anni sono cresciute con forza trainando, quasi da sole, l’economia italiana. L’effetto traino c’è ancora, ma è molto meno forte: dopo il +5,4% del 2017 l’export italiano dovrebbe chiudere il 2018 con un +2,7%, previsione tagliata di 1,5 punti rispetto a quella di fine dicembre. Pesa il rafforzamento dell’euro e anche il pessimo clima che si respira nel commercio internazionale, dove la guerra commerciale scatenata da Donald Trump contro la Cina e, in forma più lieve, il resto del mondo ha portato un’enorme dose di incertezza.

Anche rispetto all’occupazione, i calcoli del Csc dicono che la ripresa si è esaurita: ora si va verso una fase di stabilizzazione in cui non ci si può aspettare un significativo miglioramento dei dati sul lavoro. Il tasso di disoccupazione, all’11,2% nel 2017, potrebbe scendere al 10,9% quest’anno e al 10,6% il prossimo. Gli investimenti privati, che spinti dalle agevolazioni di Industria 4.0 erano saliti molto negli ultimi anni, si stanno riducendo in vista della fine degli incentivi. La spesa delle famiglie resta debole, ma stabile.

Il miglioramento del clima di fiducia delle famiglie e delle imprese italiane (rispettivamente saliti a giugno da 113,9 a 116,2 punti e da 104,6 a 105,4 annuncia l'Istat) è un buon segnale, ma la prospettiva generale rimane quella di un’espansione dell’economia meno robusta di quella del 2017. Anche nel resto d’Europa la ripresa ha perso slancio. Dieci giorni fa era stato l’Ifo, autorevole centro di ricerca tedesco, a tagliare senza troppi riguardi le sue stime per il Pil della Germania nel 2019, portandole dal 2,6 all’1,8%. Mentre a inizio giugno era stata la Bce a ridurre le sue previsioni per il Pil della zona euro del 2018, riducendole dal 2,4 all’1,9%. La frenata è preoccupante per tutti, soprattutto per l’Italia, tra i pochissimi paesi europei che non ha ancora recuperato i livelli del Pil di prima dell’inizio della crisi e una delle economie con la crescita più debole del mondo.

Il peggioramento della crescita rende più difficile il quadro per il governo, chiamato ad applicare un programma che include interventi costosi come la flat tax o il reddito di cittadinanza con un Pil un po’ più piccolo del previsto. E, soprattutto, con l’esigenza di disinnescare le clausole di salvaguardia lasciate in eredità dai governi passati: in particolare ci sono 51,2 miliardi di euro di maggiori entrate previste dal governo Renzi nel 2014 per gli anni 2019-2021 e non ancora sterilizzate. Senza interventi scatta il famigerato aumento dell’Iva, che Lega e Cinque Stelle si sono impegnati a evitare. Anche gli industriali aspettano chiarimenti su come sarà possibile: « La risoluzione di maggioranza al Documento di Economia e Finanza auspica la sterilizzazione della clausola Iva, l’attuazione di alcune misure espansive e il rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Non è chiaro come le due cose verranno conciliate» scrive il Csc nel suo rapporto.




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