mercoledì 8 novembre 2017
Una vita nella lotta alla criminalità organizzata. Dalla camorra alla ‘ndrangheta. Professionalità, organizzazione e sensibilità sono il suo stile. Succede a Franco Roberti
Cafiero de Raho è il nuovo procuratore nazionale antimafia
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Federico Cafiero de Raho è il nuovo procuratore nazionale antimafia. Lo ha votato all’unanimità il plenum del Consiglio superiore della magistratura. Una scelta facilitata anche dal ritiro dell’altro candidato, l’attuale procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ma che era già stata sancita dalla commissione incarichi dalla commissione incarichi direttivi del Csm dove un mese fa Cafiero de Raho aveva avuto cinque voti su sei.

Il nuovo capo della Dna, napoletano, 65 anni, sposato con una collega - succede a Franco Roberti in pensione dal 17 novembre prossimo - è attualmente procuratore di Reggio Calabria, dove è arrivato nel 2013 dopo aver operato per 22 anni a Napoli, prima come sostituto procuratore e poi dal 2006 come procuratore aggiunto alla guida della Dda. Magistrato espertissimo nelle inchieste sulla criminalità organizzata, prima contro la camorra, in particolare quella casertana, negli ultimi quattro anni contro la ‘ndrangheta.

Il suo nome è legato in particolare al processo “Spartacus” contro il clan dei “casalesi”, concluso con centinaia di condanne e ritenuto l’equivalente per importanza al maxiprocesso a Cosa nostra, condotto da Falcone e Borsellino. Ma anche all’inchiesta sull’omicidio di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso il 19 marzo 1994. Fu lui a giungere per primo e non ha mai smesso di ricordarlo. «Quando arrivai nella parrocchia quello che mi colpì maggiormente fu che la morte di un sacerdote non aveva provocato l’accorrere di persone». Ma dopo 20 anni, anche grazie al suo impegno e a quello degli altri magistrati della Dda, la storia è cambiata. Boss catturati, politici e imprenditori collusi arrestati e condannati, beni per centinaia di milioni confiscati. Facendo crescere la fiducia e l’impegno dei cittadini.

Anche nel nome di don Peppe che Cafiero cita sempre. «È come se quei territori avessero avuto bisogno della morte di un uomo buono per risvegliarsi. Casal di Principe si sta riprendendo la sua dignità, come se la gente cominciasse a riflettere sul cambiamento. Don Peppe, quella lucina, è poi diventata un riflettore».

Il magistrato ricorda sempre il 19 marzo 2013, «l’ultimo mio incontro prima di trasferirmi a Reggio Calabria. Eravamo nella parrocchia di San Nicola e tanti ragazzi intervennero parlando del clan dei “casalesi” come di un cancro». E lui, in partenza per Reggio Calabria, ricambia con inaspettato affetto. «Questa terra sta cambiando. Siete una grande famiglia che si è liberata dal giogo camorrista riacquistando la libertà e i diritti che vi aveva tolto. Vi voglio bene, siete l’Italia che amo». Un affetto ricambiato da tanti in quelle terre: dai familiari delle vittime della camorra ai volontari della tante associazioni che hanno resistito, sentendo sempre al loro fianco il procuratore.

Professionalità, organizzazione e sensibilità, lo stile di Cafiero de Raho. Anche coi suoi sostituti. Non a caso, per tutelarli, ha sempre firmato tutti gli atti di indagine e processuali, anche se non necessario. E ha sempre presenziato ai processi più importanti, a fianco dei suoi pm. Uomo squadra, come un grande allenatore. È nota la sua passione per il calcio, ala destra veloce, che da anni non può più praticare per la vita superblindata che deve condurre. Ancor più quando è andata a guidare la Procura di Reggio Calabria, dove ha confermato il suo stile, valorizzando i giovani colleghi, riaprendo vecchi “casi”, e soprattutto andando a scovare tutti i superlatitanti, come aveva fatto già coi “casalesi”. Dopo i primi giorni aveva detto di aver trovato una situazione «20 anni indietro» rispetto a quella che aveva lasciato in Campania. Ma in pochi anni ha recuperato moltissimo, anche in termini di fiducia dei calabresi. Non si è negato a incontri con parrocchie e associazioni, evitando invece iniziative pubbliche d’altro tipo, spiegando che lo faceva per non correre rischi di finire a fianco di persone poco raccomandabili, «perché la ‘ndrangheta ha inquinato tutto», ha più volte ripetuto. Un impegno h24 dalla parte della giustizia e dei cittadini, con una particolare attenzione alle donne, a quelle che da dentro la ‘ndrangheta provano a tagliare i punti col mondo criminale, ma anche verso i minori, collaborando strettamente col presidente del tribunale per i minorenni nell’esperienza innovativa di togliere ai boss la patria potestà per provare a salvare i figli.

Tanti i fronti aperti con successo: dall’azzardo (l’operazione “Gambling” è considerata la più importante di sempre) ai rifiuti con l’operazione “Matauros”, che punta a scoprire le “terre dei fuochi” calabresi, ma anche l’alleanza tra ‘ndrangheta e cosa nostre nel grande affare. E poi la ricostruzione di quel mondo politico-massonico che ha gestito affari e anche altro, assieme alla ‘ndrangheta, fino all’ipotesi di un ruolo nella stagione delle stragi. Colpi durissimi che hanno incrinato il consenso ai clan, confermato da un numero crescente di collaboratori di giustizia, fatto decisamente nuovo per la ‘ndrangheta. «I calabresi devono riacquistare la loro libertà», ha detto più volte. E ora che sale a Roma (ma nel fine settimana torna sempre a Napoli dalla famiglia) promette di non abbandonarli. Dalla Dna i suoi occhi resteranno su questa terra e anche su quella dei “veri casalesi” che Cafiero de Raho ha contribuito a liberare. Perché, come disse al boss Michele Zagaria per convincerlo uscire dal bunker, «lo Stato ha vinto», ma come ripete spesso «deve continuare a farlo».



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