lunedì 20 maggio 2019
Il gruppo cinese può faticosamente cambiare fornitori per i suoi componenti. Ma senza il sistema Android e servizi come Gmail o Youtube non potrà resistere sul mercato europeo
Un Huawei Store a Pechino (Ansa-AP)

Un Huawei Store a Pechino (Ansa-AP)

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Anche altre società, dopo Google, stanno studiando la loro posizione rispetto all’inserimento di Huawei nella “lista nera” delle entità con cui le società americane non possono collaborare. Molto probabilmente uno alla volta tutti i fornitori americani del gruppo cinese dovranno confermare che, in base alla legge, non possono più fornire i loro componenti a Huawei. Già oggi Bloomberg diceva che colossi come Intel o Qualcomm hanno comunicato la novità ai dipendenti. Perdere un cliente che vale il 17% del mercato mondiale degli smartphone sarà pesante per tutti. Anche per l'italiana Stm, che infatti oggi in Borsa ha perso il 9,5%.

Probabilmente Huawei, un po’ a fatica, potrà comunque sostituire gradualmente i suoi fornitori americani con aziende cinesi o di altri Paesi. Vale per tutti, ma non per Google. Sono ancora da capire i dettagli specifici di che cosa significherà, per l’azienda cinese, non potere più utilizzare il sistema operativo Android se non nella sua versione “open”, quella disponibile per chiunque.

Per i telefoni già in circolazione cambia poco: continueranno ad arrivare aggiornamenti relativi alla sicurezza e probabilmente non ci saranno più nuove versioni del sistema operativo. Per quelli ancora da mettere in commercio, invece, il bando americano a Huawei probabilmente comporterà l’assenza di disponibilità dei servizi essenziali di Google, come le app Gmail, Youtube o Google Maps. Forse la stessa ricerca sul motore di Google. Come notano gli analisti, uno smartphone privo di queste funzioni si troverebbe senza più mercato fuori dalla Cina e per quanto l’azienda possa impegnarsi nello sviluppare un sistema operativo alternativo, convincere i clienti a lasciare Google per passare ai suoi servizi è un’impresa impossibile.

Per Huawei restare sulla “lista nera” è un danno enorme. Le vendite di smartphone rappresentano poco meno della metà dell’intero fatturato dell’azienda: circa 51 miliardi di dollari su 105. Sul totale del business di Huawei, il mercato americano vale relativamente poco (il 6,6% dei ricavi) mentre quello europeo porta il 28,4% del fatturato. Nessun gruppo può permettersi una simile perdita secca.

Ora c’è da capire se Washington ha voluto portare avanti questo attacco per alzare il suo potere negoziale nella trattativa commerciale con la Cina oppure se l’obiettivo vero era indebolire il più insidioso rivale delle società americane nel campo del 5G e della tecnologia del futuro. Se lo scopo da centrare è questo, per Huawei non c’è margine di trattativa. L’azienda ha spiegato che schiererà i legali per fare valere le sue ragioni ma è evidente che quando lo scontro è politico il tutto si sposta su un altro piano. Vale per i rapporti con gli Stati Uniti, così come quelli con il Canada, dove Meng Wanzhou, responsabile finanziaria del gruppo nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, è bloccata agli arresti da dicembre (anche se in una lussuosa villa di Vancouver con libertà di girare per la città) con accuse che vanno dallo spionaggio ai rapporti illegali con società iraniane.



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