sabato 1 dicembre 2018
Da oggi vietate discriminazioni sul prezzo o sull'accesso ai negozi online in base alla cittadinanza o alla residenza dei cittadini dell'Ue. Ma restano dei limiti, e alcune possibilità di blocco
Che cosa cambia con la fine del geoblocking
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Il divieto di geoblocking che scatta oggi in tutta l’Unione Europea affronta una questione scomoda di cui si parla poco: la discriminazione tra i cittadini dell’Ue in base alla loro cittadinanza o al luogo dove vivono. Nel caso del geoblocking, termine tecnico che in italiano si può tradurre come “blocco geografico”, sono i siti del commercio elettronico a fare differenze. Ad esempio applicando prezzi diversi in Bulgaria e Germania per adattarsi al potere d’acquisto di clienti diversi oppure scegliendo di escludere alcuni mercati magari in base a un accordo di non concorrenza con un’azienda rivale.

Secondo le rilevazioni della Commissione europea, che ha avviato questa riforma nel 2012, soltanto il 37% dei siti europei di e-commerce permette ai clienti di fare acquisti a prescindere dalla nazionalità e dalla residenza. Negli altri casi ci sono dei blocchi: richieste di registrazione limitate a chi risiede in determinati Paesi, l’esclusione di alcuni territori dai mercati serviti, l’impossibilità di pagare con carte di credito a seconda della nazioni in cui sono state emesse. Tutti ostacoli che contrastano con il principio del mercato unico europeo. È come se ci fossero clienti che vivono in paesi «sbagliati» ha detto Andrus Ansip, commissario europeo per il Mercato unico digitale, annunciando che dal 2 dicembre si applica il regolamento sui blocchi geografici adottato dal Consiglio europeo lo scorso febbraio.

Con le nuove regole chi fa commercio elettronico non può più bloccare l’accesso dei clienti di alcuni Stati europei al proprio negozio online, né reindirizzarli su un altro portale dedicato. Questo vale per la vendita di prodotti fisici, per alcuni servizi elettronici come il cloud computing o l’hosting di siti Internet, per servizi turistici come gli hotel o il noleggio auto. Sono invece esclusi contenuti protetti dal diritto d’autore, come la musica e i film in streaming o i libri elettronici, e i servizi finanziari, quelli dei trasporti, sanitari e sociali.

Ma perché un negoziante dovrebbe negarsi una fetta di pubblico europeo? Secondo le rilevazioni di Bruxelles principalmente per due motivi. In molti casi sono i fornitori che chiedono ai negozianti di non vendere in alcuni mercati, con l’obiettivo di avere la libertà di applicare prezzi differenti nei diversi paesi europei. Oppure perché hanno concesso esclusive territoriali a certi distributori. In altri casi è una scelta di comodità per non rimanere invischiati nella burocrazia commerciale straniera. Il nuovo regolamente lascia comunque spazi per escludere i clienti non desiderati. I prezzi non possono cambiare da un Paese all’altro, ma resta possibile differenziare le tariffe (ad esempio il costo della spedizione) e di non consegnare i prodotti al di fuori di un Paese.
Insomma: è un passo avanti, ma per un vero mercato unico resta ancora molta strada da fare.
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