venerdì 30 ottobre 2020
Il parere dell'avvocato della Corte Ue conferma che l'Italia aveva ragione a usare il Fitd il salvataggio di Tercas (e di Etruria e le altre). L'Ue glielo ha impedito rendendo la crisi più drammatica
I commissari Jonathan Hill e Margrethe Vestager in una foto del 2015

I commissari Jonathan Hill e Margrethe Vestager in una foto del 2015 - EC - Audiovisual Service

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Sulla gestione della crisi di Banca Tercas, l’Italia aveva ragione e molto difficilmente la Corte di giustizia europea cambierà opinione. Evgeni Tanchev, l’avvocato generale della Corte incaricato di analizzare il caso della banca abruzzese, è arrivato alla conclusione che i giudici europei hanno correttamente ritenuto che l’intervento del governo italiano a sostegno di Banca Tercas non era un aiuto di Stato. Quindi l’impugnazione della Commissione europea contro la sentenza del marzo 2019 deve essere respinta. Le conclusioni dell’avvocato generale non sono vincolanti per la Corte, raramente però gli altri giudici europei le contraddicono. Se l’Italia aveva ragione, la Commissione dovrà chiedere scusa per gli enormi danni che ha causato al nostro sistema bancario con i suoi errori.

In sé la crisi di Tercas non era una grande storia: nel dicembre del 2011 gli ispettori della Banca d’Italia vanno a controllare che cosa succede in questa banca che sembra avere qualche problema. Trovano gravi irregolarità amministrative e violazioni delle norme. Ad aprile del 2012 il ministero dell’Economia azzera il consiglio di amministrazione e affida Tercas a un commissario perché la rimetta in sesto. Dalle verifiche emerge che il patrimonio della banca è negativo per circa 280 milioni di euro. Servono soldi e un alleato. Si fa avanti la Banca Popolare di Bari, che è disposta ad assorbire Tercas (che le doveva 480 milioni) ma non vuole farsi carico delle sue perdite.

È qui che viene coinvolto il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), strumento creato dalle banche nel 1984 con il compito di garantire i soldi nei conti correnti, come richiesto dalla legge: le banche sono obbligate ad alimentarlo in modo che abbia a disposizione una cifra pari allo 0,8% del totale di quanto deve garantire (fino a 100mila euro a conto). Il Fitd ha un compito previsto dalla legge, ma per statuto con i soldi che ha a disposizione può fare anche altro: ad esempio intervenire a sostegno di una banca per evitare che finisca per essere liquidata, costringendo il Fondo a rimborsare i suoi clienti. Spesso, infatti, al Fitd costa di più risarcire i correntisti che ricapitalizzare la banca per evitarne la crisi.

Questo è esattamente il caso di Tercas. Analizzata la situazione, il Fitd con l’autorizzazione della Banca d’Italia delibera di versare 265 milioni per riportare a zero il patrimonio della banca abruzzese e ci aggiunge 65 milioni di garanzie. La Popolare di Bari nel luglio del 2014 converte, con un forte sconto, i suoi 480 milioni di crediti in nuove azioni di Tercas e ne prende il controllo.

Sarebbe tutto risolto (in realtà non tutto, perché negli anni successivi la Popolare di Bari è finita in difficoltà a sua volta, fino al salvataggio pubblico, anche per il peso dell’operazione Tercas) se a quel punto non intervenisse la Commissione europea, in particolare Margrethe Vestager, allora commissario alla Concorrenza e oggi vice presidente con deleghe a Concorrenza e Digitale, e Jonathan Hill, allora commissario agli Affari bancari e ora cittadino extra-europeo in seguito alla Brexit..

Nell’estate del 2014 Bruxelles chiede informazioni all’Italia sulla vicenda Tercas e sul ruolo del Fitd. Con il passare dei mesi diventa chiaro che a Bruxelles considerano l’intervento del Fitd come un aiuto di Stato illegittimo, orientamento che diventa ufficiale il 23 dicembre del 2015, quando la Commissione impone alla Popolare di Bari di restituire al fondo i 265 milioni, più gli interessi.

Il governo italiano, allora guidato da Matteo Renzi con Pier Carlo Padoan all’Economia, la Banca d’Italia e ovviamente lo stesso Fitd tentano invano di convincere la Commissione che l’accusa è sbagliata. Una tesi rafforzata da un precedente del 1999, quando il Fitd intervenne per evitare la crisi di Sicilcassa e la Ue lo accettò, e dal fatto che il Fondo scegliendo l’intervento nella banca invece che il rimborso ai suoi correntisti (che sarebbe costato circa 40 milioni di euro in più) si era proprio mosso con criteri di mercato. Non solo: le risorse del Fitd sono private, per quanto le banche siano obbligate ad alimentarlo, e il consiglio di amministrazione del Fondo aveva deciso in autonomia di intervenire, pur coordinando la sua azione con Banca d’Italia e Tesoro

Per Tercas comunque la vicenda si è risolve senza scosse. Mentre emerge la contestazione europea, il Fitd si organizza: crea un suo “schema volontario”, in cui le banche non sono obbligate a partecipare e quindi al riparo dai dubbi di Vestager, e nel giorno in cui la Popolare di Bari restituisce i 265 milioni al Fitd, lo schema volontario glieli trasferisce immediatamente indietro.

Ormai il vero dramma del sistema bancario italiano però è già avvenuto. Con il decreto legge del 22 novembre del 2015 il governo Renzi applica il principio del “burden sharing” (letteralmente "condivisione del fardello") a quattro banche in dissesto: Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Per la prima volta la crisi di una banca lascia a secco i suoi obbligazionisti, anche se solo quelli “subordinati”, cioè più speculativi.

Quella soluzione drastica si poteva evitare. Il Fitd si era fatto avanti per intervenire anche sulle quattro banche, come aveva fatto con Tercas: certo, il buco era molto più grande, servivano 2 miliardi di euro, ma l’operazione era considerata più conveniente e infatti il Cda del Fitd aveva già approvato tutte le delibere. Anche perché «se dovessero essere rimborsati i depositi garantiti delle quattro banche la somma ammonterebbe a 2,5 miliardi di euro», una cifra che «il Fondo non ha e non avrà mai» ammette il presidente del Fitd, Salvatore Maccarone, ascoltato dalla Commissione Finanze della Camera il 27 ottobre 2015.

Nelle settimane complicate della gestione della crisi delle quattro banche, Vestager e Hill – come ben documentato in un dossier pubblicato sul sito del Tesoro – ribadiscono all’Italia che la loro linea non cambia, se il Fitd fosse intervenuto sarebbe stato considerato un illegittimo aiuto di Stato. Per questo il governo si arrende ad accettare il “burden sharing”. Anche perché se Roma avesse perso altro tempo avrebbe rischiato di dovere gestire la crisi delle quattro banche secondo le regole del bail in, coinvolgendo nelle perdite anche i correntisti.

L’interpretazione delle norme da parte della Commissione, però, era sbagliata, come ha stabilito dettagliatamente la sentenza del Tribunale europeo e come ha confermato il parere dell'avvocato Tanchev.

Ora aspetteremo il giudizio finale della Corte. Se l'orientamento dei giudici sarà confermato, sarà incontestabile il fatto che impedendo per errore al Fitd di gestire ordinatamente la crisi delle quattro banche, la Commissione ha creato un enorme danno all’Italia e al suo sistema bancario. In molti – soprattutto tra risparmiatori, banchieri e politici – hanno ottime ragioni per essere infuriati con Vestager e Hill. Senza gli ostinati errori di Bruxelles il racconto degli ultimi anni delle banche italiane sarebbe potuto essere migliore.

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