martedì 28 aprile 2020
Il presidente della Fondazione con il Sud: non c’è vera ripresa se resta un deficit di comunità. Proposta al governo: "Utilizzare parte dei Fondi strutturali con un bando per sostenere il Non Profit"
Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud

Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud - Ansa

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"Se c’è qualcuno che pensa che si può fare ripresa economica e occupazionale con un deficit di dimensione comunitaria e di capitale sociale, sbaglia tutto. Se dopo avremo un deserto di organizzazioni di Terzo settore, fiaccate dalla crisi, indebolite o addirittura scomparse, la ricostruzione sarà molto più difficile". È la preoccupazione di Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, l’alleanza tra fondazioni bancarie e il Terzo settore che ha sostenuto tantissime iniziative al Sud. Il 25 aprile gli è stato assegnato il Premio don Peppe Diana, “Per amore del mio popolo” (con lui Piero e Alberto Angela e il procuratore di Benevento, Aldo Policastro), istituito dal Comitato don Diana, Libera Caserta e dalla famiglia del sacerdote ucciso dalla camorra. Borgomeo conosce bene quel territorio, con la Fondazione ha sostenuto molti progetti e ne parla nell’intervista.
Terzo settore e emergenza Covid–19. Come sta andando?
Nella prima fase c’è stato un impegno straordinario in tantissimi ambiti: alimentare, scuola, donne vittime di violenza, senza dimora, detenuti. L’impegno delle organizzazioni del volontariato e delle cooperative, che è soprattutto di vicinanza, è stato complicato del distanziamento sociale, ma ancora una volta è emerso che nel Paese abbiamo una straordinaria ricchezza che nei momenti giusti viene fuori.
Ma sono emerse anche forti criticità...
È stato chiesto uno sforzo straordinario al Terzo Settore che in realtà si era già mosso da solo. Ma contemporaneamente è venuta meno una serie di risorse. E c’è stato un grande disorientamento. Anche perchè tutti gli interventi di emergenza lo hanno dimenticato.
Un Terzo settore che fa molto comodo ma trascurato?
È così, ma, dopo appelli e segnalazioni, mi pare ci sia una maggiore attenzione. Ora vedremo se alcune misure previste dai decreti verranno allargate al Terzo settore, in particolare quelle sulla liquidità. Però rimane il giudizio che serve tantissimo ma non sempre è al centro delle riflessioni della politica.
E nella Fase2?
Non sarà uguale alla ricostruzione del dopoguerra, però effettivamente c’è la necessità di far partire un clima di fiducia, di solidarietà, di impegno, di responsabilità. In questa fase è decisivo il Terzo settore.
Perché?
Perché promuove, consolida, qualifica il sistema di relazioni. La solidarietà non è solo fare del bene a qualcuno, ma farlo complessivamente alla comunità.
Cosa fare?
Al ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano ho fatto una precisa proposta. Utilizzare parte dei Fondi strutturali con un bando che non selezioni progetti ma con l’obiettivo di sostenere il Terzo settore. Naturalmente si sceglieranno le organizzazioni in base alla loro esperienza e al radicamento territoriale. Nella certezza che se si hanno forti organizzazioni sul teritorio, si realizza l’infrastrutturazione sociale.
Altrimenti?
Sono preoccupatissimo. Quando si ricomincerà ci vuole un Terzo settore per la scuola, per la sanità, ma soprattutto per ricostruire sui territori un sistema di relazioni sociali positive. Non ci possiamo permettere il lusso di non avere un Terzo settore forte. Anche nel dopoguerra ci fu una riflessione molto bella fatta in ambienti cattolici che si interrogavano sul fatto che la loro presenza serviva soprattutto a rifare cittadinanza. Questo è importantissimo. È un dato reale che queste organizzazoni rafforzano la dimensione comunitaria che è indispensabile per una ripresa.
Si sta forse parlando solo e troppo di soldi?
Questo è inevitabile e forse anche giusto, però noi vogliamo sottolineare che nella ripresa c’è anche il Terzo settore. E comincio a vedere segnali di maggiore attenzione. Il ministro condivide questa preoccupazione, e sono certo che presto farà sapere come intende intervenire.
Come Fondazione in questi anni siete stati particolarmente vicini alle cooperative sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie. Ora sono a rischio, mentre le mafie potrebbero approfittare delle difficoltà provocate dall’emergenza.
Non penso che siano messe peggio delle altre ma penso che sono più importanti delle altre. Le mafie hanno liquidità e quindi non c’è bisogno che vadano a cercare la gente. La gente li cercherà nella disperazione. Queste esperienze che sono il segno di contraddizione più forte alla cultura mafiosa, è importantissimo che restino. Penso in particolare alle realtà del Casertano dove quei ragazzi hanno cominciato a stare insieme per fare testimonianza di legalità e accoglienza di soggetti fragili, e ora sono un reale pezzo di sviluppo economico della provincia.
La Fondazione come si muoverà?
Abbiamo fatto delle linee guida per venire incontro alle esigenze dei progetti in corso, suggerendo di non bloccarli, adattandoli alla nuova situazione. E si stanno dimostrando efficaci. Non stravolgeremo i nostri programmi, tenendo conto di quello che è successo ma senza farci travolgere dall’emergenza rischiando di fare cose che non hanno prospettive.

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