mercoledì 20 marzo 2019
L'Associazione nazionale giovani innovatori mette assieme startupper, professionisti, influencer ed esponenti della classe dirigente: l'obiettivo è favorire l'innovazione
I giovani di Angi

I giovani di Angi

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Stanchi di aspettare che l’Italia si desse una svegliata mentre troppi treni dell’innovazione le sfilavano davanti, un gruppo di giovani si è organizzato per mettere il tema dell’innovazione al centro dell’agenda nazionale. È nata così Angi, l’associazione nazionale giovani innovatori creata nel 2017 e presentata ufficialmente poco più di un anno fa, con un evento alla Camera a gennaio 2018.

Angi mette assieme startupper, imprenditori affermati, professionisti, influencer, esponenti della società civile e della classe dirigente: tutti determinati a spingere il Paese a fare un passo avanti, tecnologico ma ancora più mentale, per essere pronto ad affrontare il futuro. L’iniziativa è piaciuta. «Oggi coinvolgiamo più di un migliaio di soggetti, persone ma anche imprese, università, incubatori e associazioni» spiega il presidente Gabriele Ferrieri, co-fondatore di iCarry, la prima piattaforma logistica last-mile che abilita consegne on demand a negozi fisici e virtuali.

Sia Ferrieri che il direttore generale Francesco Paolo Russo, fondatore di To Be, startup specializzata nel li-fi, la tecnologia per la trasmissione dati tramite la luce, vengono dal mondo dei giovani di Confindustria. Angi non si pone come alternativa all’associazione delle imprese, ma fa piuttosto un’attività di affiancamento. «Abbiamo ottimi rapporti, Confindustria è uno dei partner che ci sostiene – spiega Ferrieri –. Noi abbiamo voluto creare una realtà orizzontale, che mettesse assieme soggetti diversi accomunati dalla passione per l’innovazione. Questo ci distingue da altre associazioni verticali, che rappresentano cioè soggetti più omogenei, come un settore industriale».

Il primo anno di Angi è stato pieno di soddisfazioni. L’associazione è riuscita rapidamente ad essere considerata un valido interlocutore per i legislatori e i decision maker, è arrivata a parlare al Parlamento europeo e a stringere alleanze internazionali negli Stati Uniti, in Francia, a Malta e, proprio giovedì scorso alla Farnesina, anche con il Sudamerica.

Il cuore dell’attività dell’associazione sta nel “Futuro è oggi”, il manifesto per l’innovazione pubblicato lo scorso giugno. Un documento in cinque punti in cui si spiega al governo che cosa occorre per favorire l’innovazione in Italia: semplificazione della burocrazia, che costa 33 miliardi di euro all’anno alle piccole e medie imprese; lavorare sulla formazione per colmare lo skill gap dei ragazzi italiani; favorire le startup con agevolazioni fiscali e sistemi che le aiutino ad accedere al credito; migliorare le infrastrutture tecnologiche, a partire dallo sviluppo della banda ultra-larga; sviluppare l’e-government, creando ad esempio un unico organismo di governance del digitale.

Al ministero dell’Istruzione con il sottosegretario Salvatore Giuliano hanno lavorato al programma per promuovere le competenze digitali nella scuola. Sul fronte dei finanziamenti ci sono state iniziative interessanti come l’introduzione dell’obbligo di investimento in venture capital da parte dei Pir, l’allargamento del ruolo della Cdp come banca di investimento, la creazione del Fondo per l’innovazione da 1 miliardo di euro annunciato dal ministro Luigi Di Maio a inizio marzo. «Per noi queste iniziative sono un primo passo che deve portarne molti altri. L’Italia deve crescere con l’innovazione in tutte le sue forme, non solo le startup. Ad esempio valorizzando i suoi giovani – ricorda Ferrieri –. E questo può avvenire attraverso la collaborazione tra pubblico e privato. Il punto fondamentale è rendere l’Italia appetibile per chi investe nel Made in Italy, non cedendo aziende ma trovando chi può aiutarle a crescere».

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