martedì 27 giugno 2017
Ecco cosa possiamo imparare dalla crisi delle due banche venete
L'ad di Intesa SanPaolo Carlo Messina (Ansa)

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Da ieri all’interno della Divisione Banca dei Territori di Banca Intesa, è stata istituita una nuova direzione regionale cui faranno capo i rami d’azienda costituiti dalle attività rilevate da Banca Popolare di Vicenza e da Veneto Banca. La soluzione prevede che Banca Intesa acquisti, al prezzo simbolico di un euro, le attività e le passività funzionali alla propria attività. Questa nuova modalità di salvataggio, differente sia da quella utilizzata per Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, che da quella utilizzata per Banca Monte dei Paschi, ci permette di sottolineare due aspetti che possono risultare utili nel caso si verifichino nuove crisi bancarie.

Il primo aspetto meritevole di attenzione è la perdita di tempo. Per oltre un anno si è discusso di varie soluzioni per i problemi di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, senza mai raggiungere una soluzione concreta e definitiva. La soluzione delineata poteva essere stata realizzata molti mesi fa, evitando così che le due banche deteriorassero ulteriormente le proprie condizioni economiche e finanziarie. A titolo di esempio basta immaginare quanti clienti delle due banche venete, con depositi sopra 100.000 euro, in questi mesi abbiano ritirato la propria liquidità perché temevano che la banca non sarebbe più stata in grado di restituire i soldi.

Questo comportamento perfettamente razionale per un depositante, ha contribuito a rendere la banca ancora meno solida. In futuro, se un’altra banca dovesse trovarsi in crisi, sarà opportuno scegliere una soluzione e perseguirla senza incertezza e senza perdite di tempo. Il secondo aspetto meritevole di attenzione è la modalità di salvataggio scelta per le due banche venete, ovvero chi paga i costi del dissesto? Se si guarda la direttiva europea, Bank Recovery and Resolution Directive, il salvataggio di una banca in crisi deve ispirarsi al principio del bail-in.

In base a questo principio, il costo del dissesto deve ricadere su chi ha avuto interessi nella banca, come ad esempio, un azionista o un’obbligazionista perché non ha vigilato in modo adeguato sulla sua corretta gestione. Per contro, con il bailout, il costo del dissesto verrebbe pagato con risorse pubbliche e quindi ricadrebbe sulla collettività. Nel caso del due banche Venete si è deciso di applicare un po’ di bail-in perché alcune obbligazioni subordinate detenute da alcune classi di investitori non verranno rimborsate e molto bail-out perché si è dato modo a Banca Intesa di scegliere le attività e le passività da acquisire, lasciando allo Stato l’onere di gestire i crediti problematici i cui costi si manifestano in parte in modo certo e immediato e in parte si potranno manifestare nei prossimi anni. Probabilmente questa soluzione era inevitabile ed è stato il male minore, ma, per il futuro, per contribuire a dare certezza agli operatori finanziari occorre chiarire bene quale modello tra bailin e bail-out si intenda seguire.

A titolo di esempio, in Spagna, il salvataggio del Banco Popular è avvenuto in due steps: nel primo è stato applicato il bail-in su azionisti ed obbligazionisti subordinati, nel secondo il Banca di Santander ha annunciato un aumento di capitale per acquistare il risultante Banco Popular, riducendo in questo modo al minimo l’esborso per lo stato spagnolo.

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